IL SOUDARION GIOVANNEO
NEGATIVO DELLA GLORIA DIVINA

Comunicazione di Fra Bruno BONNET-EYMARD, esegeta,
al Congresso « La Sindone, Scienza e Fede »
BOLOGNA 27-28-29 Novembre 1981

(Articolo pubblicato negli Atti del Convegno, pp. 91-106.)

fra Bruno di Gesù
Bologna 27.11.81 – fra Bruno di Gesù seduto in prima fila nell’aula

RIASSUNTO

GLI autori concepiscono generalmente il telo fune­bre, designato da San Giovanni sotto il nome di soudarion (20,7), come il pezzo di tela-fazzoletto di cui gli antichi si servivano per asciugare il sudore (sudor). Questa ipotesi li ha condotti a interpretare il testo di San Giovanni nei sensi più diversi e più contraddittori.

L’ipotesi di un’etimologia aramaica, e non latina, di questa parola, sostenuta dall’ uso della parola soudarâ nei targumi palestinesi della Bibbia, permette :

1) di tradurre i versetti di San Giovanni che vi si riferiscono, secondo il senso e la funzione ovvii di ciascuna parola,

2) di riconoscere nel soudarion gjovanneo il sindon degli altri Evangelisti, cioè la Sindone del Signore : ampio pezzo di stoffa che avvolgeva il Morto, "passando sopra la testa", e che Pietro e Giovanni hanno trovato, in ordine "in un certo luogo" del sepolcro, dopo la risurrezione.

3) di distinguere da questo lenzuolo gli altri teli o bende di tela che servirono a legare le membra del Crocifisso per il trasferimento e la sepoltura del suo Corpo.

Oltre questa semplificazione dell’ analisi dei te­sti evangelici, tale ipotesi impone l’avvicinamento di questo soudarion, il quale velo "l’immagine della Gloria di Dio" du­rante tre giorni, con la Sacra Sindone di Torino che ne con­serva l’impronta.

Questo studio ha dunque messo la parola fine a tutte le discussioni, a tutte le inutili contestazione, riguardanti la realtà della Sindone di cui è resa testimonianza dai quattro evangelisti.

INTRODUZIONE

Comunicazione di Fra Bruno BONNET-EYMARD, esegeta
Articolo pubblicato negli Atti del II Convegno Nazionale di Bologna (27-29 novembre 1981)
« La Sindone Scienza e Fede », pag. 91 - 106 (Editrice CLUEB Nov. 1983)

Bologna 27.11.81 - Fra Bruno di Gesù
presenta suo studio sull’soudarion

È mediante lo studio minuzioso e infaticabile dei documenti evangelici che, per diciannove secoli, i Padri e i Dottori della Chiesa, i teologi e gli storici hanno cercato di determinare tutte le circostanze della Passione, della Morte e della Sepoltura del Cristo, corme pure della Risurrezione. Certamente i dati archeologici, storici e letterari contribuivano alla critica esteriore dei Vangeli, ma il loro contributo restava secondario.

È soltanto da meno di cento anni che le stesse scienze esatte, per mezzo dell’ « expertise » sulla Sacra Sindone, sono entrate in lizza. Oggi le prove dell’ autenticità di questa venerabile Reliquia sono cosi abbondanti e convergenti che ne fanno un reperto archeologico capitale, capace di fornire una quantità di particolari rimasti fino allora insospettati, perfino dalla più attenta esegesi dei Vangeli, e tuttavia del più alto interesse.

Diro di più : mentre per lungo tempo la stessa legge di una severa esegesi scientifica del Nuovo Testamento sembrava pretendere dai suoi esperti che restassero scrupolosamente lontani da qualunque collusione con la sindonologia 1, oggi assistiamo a un totale capovolgimento della situazione : molti sono arrivati a pensare che i dati evangelici erano non soltanto relativamente poveri a paragone della ricchezza dell’ apporto scientifico, ma anche che, in definitiva, erano meno degni di fede, per lo meno in alcune loro precisazioni, degli stessi dati scientifici inconfutabili 2.

Da parte mia, insieme a John Robinson, che lo affermava categoricamente al Congresso di Torino 3, penso che il valore dei Vangeli, sia dal punto di vista della scienza esegetica, sia da quelle della fede cristiana, c’inviti a continuare la ricerca affinché le due discipline vengano, per cosi dire, incontro l’una all’altra, poiché dal loro confronto, mediante nuove scoperte, deve scaturire la luce.

Da parte mia, vorrei portare un contributo assai preciso in questo senso. Esso si riferisce al Vangelo di S. Giovanni :

1) alla prova esegetica che reca a favore dell’ autenticità della Sacra Sindone

2) alla teologia del quarto Vangelo che riversa una mirabile luce sul fatto della Sacra Sindone.

PARTE I - IL SOUDARION GIOVANNEO

La prima parte concerne quindi il soudarion di Giovanni, cioè quel telo, quel pezzo di stoffa che San Giovanni chiama Soudarion e di cui ci riferisce nel suo racconto della scoperta della tomba vuota la mattina di Pasqua : che rimase sul luogo stesso, e che egli, Giovanni, Lo vide insie­me agli othonia e che questa sola vista fece si che credesse. 4

Positivo fotografico della Santa Sindone
Positivo fotografico della Santa Sindone

Othonia

Per prima cosa, sia su questo punto, sia su molti altri, sembra che Giovanni sia in pieno disaccordo con i Sinottici. Infatti, questi raccontano il seppellimento di Gesù, eseguito da Giuseppe di Arimatea in una sindone, un lenzuolo che avvolgeva completamente il corpo di Gesù. 5 Invece Giovanni, che parla come testimone oculare, 6 non menziona questa sindone. Secondo lui, Giuseppe e Nicodemo « presero il corpo di Gesù e lo legarono con degli othonia » 7 La divergenza con i Sinottici si riferisce sia alla scelta del verbo dein « legare », sia al plurale othonia. Questa duplice anomalia sembra escludere ogni identificazione degli othonia di Giovanni con la sindone dei Sinottici e, a maggior ragione, con la venerata tela di Torino.

Il punto è quindi di sapere che cosa intenda San Giovanni per otho­nia e che cosa San Giovanni intende per soudarion.

La parola othonia, quando viene tradotta con « bende » (bendaggi), co­me s’intende abitualmente in senso medico, evoca irresistibilmente il modo di sepoltura in uso presso gli Egizi. Tutto l’impegno del Padre Lavergne, dopo il Vaccari, consiste nell’ allontanare quest’idea perché metterebbe San Giovanni in contraddizione con i Sinottici. Pertanto egli suppone che othonia sia un « plurale di estensione », che in realtà designa il grande sudario, la sindone dei Sinottici, per l’appunto in opposizione al soudarion, il quale, al contrario, era piccolo. 8

Il Delebecque, appoggiandosi del resto all’ autorevolezza del Padre Spicq, si è ribellato, con ragione, contre questa « forzatura » del plurale 9. Per lui « gli othonia sono soltanto le bende o bendaggi che permettono di mantenere solido il corpo e di fissare strettamente il grande sudario » 10. E poiché « il grande sudario » non è altro che la sindone dei Sinottici, e poiché Giovanni non lo cita nel suo racconto, il professore ne deduce che, la mattina di Pasqua, non si trova più nella tomba ! 11

Il Padre Feuillet, è vero, corregge l’esegesi del Padre Lavergne e restituisce a othonia il valore di plurale. A suo parere starebbe a designare l’insieme delle bende funebri : la sindone, i lacci che legavano i piedi e le mani di Gesù 12. E poiché, per San Luca 13, othonia sembra avere il valo­re di un plurale generico, includente la sindone menzionata nel racconto della sepoltura 14, Robinson aderisce a questa esegesi 15.

Ma allora se Giovanni per othonia intende l’insieme dei lini funebri, che sono serviti sia ad avvolgere il corpo del Cristo, sia a legare le sue membra al fine di facilitarne il trasferimento e la sepoltura, corne spiegare che, più avanti, nel racconto della scoperta della tomba vuota, si parla di un soudarion nettamente distinto, « a parte » (choris) dagli otho­nia ? 16. A questo punto la controversia si riaccende.

Soudarion - Mentoniera

Generalmente l’esegesi, basandosi sull’etimologia latina di questo termine greco, ha sostenuto che soudarion non è che una trascrizione di sudarium : « Si tratta di un panno di dimensione variabile che si portava sia in mano, sia intorno al collo e che generalmente era destinato ad asciugare il sudore » 17. Nella circostanza, sarebbe stato usato sul cadavere come una mentoniera 18 e ciô lo collocherebbe tra le « bende » usate pure per legargli le mani ed i piedi.

Ma allora tre interrogativi si presentano. Primo: come tradurre la parola soudarion ? Seconde: come interpretare l’espressione che lo colloca « sulla testa » di Gesù (épi tes kephalès autou)? Terzo : perché questa mentoniera beneficia di una menzione speciale, dal momento che fa par­te delle bende (othoniois), usate per « legare » (edèsan) Gesù (autou)? 19

Padre Feuillet, per sua parte, traduce : Pietro « vede i panni giacenti, e il sudario il quale era stato sulla testa di Gesù, non giacente con i pan­ni, ma arrotolato distintamente, proprio al suo posto » 20. Poi spiega :

« mentre dopo la risurrezione le due parti del sudario che avvolgevano il corpo di Gesù si erano sovrapposte, quella di sopra cadendo su quella di sotto, il sudario, che circondaua il viso di Gesù a modo di un cerchio (sono io a sottolineare, perché la glossa diventa un controsenso; Giovan­ni scrive: « che era sulla testa, o épi tes kephalès autou »), non era caduto nella stessa maniera (corne le bende) e con esse»; e cosi formava una protuberanza sotto il grande sudario 21.

Questa traduzione è ingegnosa, ma urta contre tre obiezioni. La pri­ma è la più grave : soudarion, di cui si è spiegato a lungo che fosse un “ pezzo di tela ” che serviva da « mentoniera ». è tradotto con sudario. Ora, questa parola, usata qui, puô portare ad un errore, corne lo stesso Padre Feuillet ha scritto, a suo tempo, di propria mano: «la parola francese “suaire”, spesso utilizzata nella traduzione (soudarion) è un équivalente erroneo ». Aggiunge, è vero, « almeno se si intende per « suaire » un len­zuolo o sudario destinato alla sepoltura di un morto » 22. Ma come intenderlo altrimenti, dal momento che ha preso tale senso in tutte le lingue romanze da più di mille anni? 23. Poiché vuole assolutamente scartare questo senso, Padre Feuillet dovrebbe tradurre la parola con « mentonie­ra » 24. Inoltre rimane intatta l’obiezione di Delebecque, seconde la quale tale disposizione dei panni funebri non permette di capire come San Giovanni abbia potuto scrivere che Simone-Pietro « vede » il soudarion 25. Infine la parola « proprio al suo posto » si allontana considerevolmente dal greco (eis hena topon) 26. Perciô, al Congresso di Torino, Robinson, benché anche lui ritenesse il soudarion giovanneo una « mentoniera », si staccava da Padre Feuillet per quanto riguardava il problema della sua posizione 27. Insisteva perché si desse a choris un senso locale e non mo­dale, sostenendo con energia che Giovanni voleva significare che il soudario-mentoniera fosse arrotolato « a parte » dagli othonia, « in un luogo » lontano da essi.

Ma allora, di nuovo, non si capisce più la ragione di questa menzione speciale che ne è fatta separatamente dagli altri othonia, i quali erano « giacenti » (keimena) nel sepolcro.

Siamo in un circolo vizioso. Conviene cercare ancora.

Il soudarion giovanneo

Negativo fotografico della Santa Sindone
Negativo fotografico
della Santa Sindone

È qui che la nostra ipotesi prende l’avvio. Essa consiste nel ritrovare ed estendere l’antica ipotesi di un esegeta amico di Barbet, il Padre Levesque, ipotesi che tendeva ad identificare il soudarion di San Giovanni con la sindone dei Sinottici, essendo l’uno e l’altra un’identica unica cosa con la nostra Sacra Sindone di Torino. Ecco che cosa affermavano, quarant’anni fa, Levesque e  Barbet  28.

Nella loro ipotesi, l’elemento importante è che il termine soudarion è collegato con una parola aramaica, la parola « soudarà ». La parola soudarà si trova, infatti, in molti testi antichi per designare non un piccolo telo, ma, al contrario, un grandissime telo di cui, anche ai giorni nostri, in oriente si fa il più svariato uso : telo di cui ci si puô servire per moltissime cose, che si puô ripiegare, arrotolare intorno alla testa, a mo’ di turbante, ma che, di per se, è un lungo pezzo di tela, un gran velo che si mette sulla testa e che, avvolgendosi intorno al corpo, scende fino ai piedi per ammantarlo interamente.

È con questa parola che il Targum di Ruth traduce la parola ebraica mitpahat, che indica il grande mantello nel quale Ruth si avviluppa per dormire ai piedi di Booz e nel quale questi, al mattino, le « misura sei parti di orzo » 29. Certamente a torto Lavergne identifica questa parola col sudarium latino 30. Come diceva Barbet « non si mettono sei misure d’orzo in un fazzoletto » !

Il paragone con Ruth non è senza importanza simbolica, proprio alla maniera di San Giovanni: come Ruth in attesa del mattino ai piedi di Booz addormentato, Gesù aspetta nella notte della tomba l’aurora di Pa­squa, avvolto nel suo soudard funebre.

Ma allora tutto si chiarisce se si identifica il soudarion di San Gio­vanni con la sindone dei Sinottici, concepita, a imitazione della Sacra Sindone di Torino, come un gran pezzo di tela, tutto in lunghezza, pas­sante « al di sopra della testa », épi tes kephalès, che quindi la copre, co­me pure copre il viso e tutto il corpo fino ai piedi 31.

In questo caso, il senso di othonia è il senso ovvio, sinonimo di keiriai 32 : sono « le bende » che sono servite a legare il Corpo, ai piedi della Croce, per trasportarlo quindi nella tomba dove è stato deposto su un sudario di cui l’altra metà è stata ripiegata al di sopra della testa per ricoprirlo completamente fino ai piedi.

II racconto della scoperta della tomba vuota è fatto improvvisamente evidente dal contraste, nella penombra del sepolcro, delle bende sciolte che « giacciono » (keimena), da una parte, e il « Soudarion », dall’altra. Per descrivere la posizione del soudarion, San Giovanni usa di nuovo il verbo entulissein, usato da San Matteo e San Luca per descrivere l’atto di Giuseppe di Arimatea, il quale « avvolse » (enetulixen) il Corpo di Gesù nella sindone. Usata nel passive con la preposizione di movimento eis, questa parola rarissima 33 sottolinea in un modo vivissimo che, questa volta. E’ il Sudario stesso, vuotato dal suo contenuto, che si trova « arrotolato », ripiegato, riportato « in un certo luogo » 34, ben preciso del sepolcro, che San Giovanni sembra avere ancor presente nella memoria.

Ecco perché penso che, in definitiva, si debba identificare la stessa cosa nella sindone dei Sinottici, nel soudarion giovanneo e nella Sacra Sindone di Torino. Ed ecco, per concludere questa prima parte, la traduzione dei difficili versetti, risultato della presente esegesi :

"Chinatosi. vide le bende per terra, ma non entrô. Giunse intanto an­che Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrô nel sepolcro, e vide le bende per terra, e il Sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra tra le bende, ma a parte, collocato « in un certo luogo » 34.

PARTE II - IL NEGATIVO DELLA GLORIA DIVINA

Perché San Giovanni ha preferito soudarion a sindon, avente come apposizione l’inciso che mette tanto in imbarazzo gli esegeti: « che era sulla sua testa » ? 35. C’è qui un « mashal », un « segno » di una meravigliosa profondità. Ed è la mia seconda parte.

Le mie personali ricerche mi hanno fatto scoprire un riferimento che non soltanto conferma questa esegesi, ma ci fa anche penetrare nella teologia giovannea dell’avvenimento.

L’origine di un aramaismo

Nei targum palestinesi dell’Esodo leggiamo infatti che, al momento della discesa dal Monte Sinai, con in mano « le tavole della Testimonianza », « Mosè non si accorgeva che la laminosità dell’immagine del suo viso splendeva, la quai cosa proveniva dallo splendore della gloria della Shekinah di Yahweh, nel momento in cui aveva parlato con Lui ». Sono io che sottolineo la parafrasi del targum in rapporte al testo masoretico. La Shekinah è la presenza, l’abitazione di Yahweh. Cosi, continua il tar­gum, dopo che Mosè ebbe finito di dire ad Aronne e ai figli d’Israele, spaventati dallo « splendore dell’immagine del suo viso », tutto ciô che Yah­weh gli aveva detto sulla montagna, « mise un velo (soudarà) sull’immagine del suo viso. Quindi al momento in cui Mosè arrivava alla presenza di Yahweh per parlare con Lui, sollevava il velo (soudarâ) che aveva sull’immagine del viso fino alla sua uscita ; quindi usciva e diceva ai fi­gli d’Israele ciô che gli era stato comandato. I figli d’Israele vedevano l’immagine di Mosè e notavano che il bagliore dell’immagine di Mosè era risplendente ; Mosè abbassava allora il velo (soudarâ) sul viso fino al momento in cui rientrava per parlare con Lui » 36.

Mosè è quindi salito sul Monte Sinai per ricevere la Legge di Dio. Ha visto Dio, ha incontrato Dio e ne è ridisceso circondato da una tale gloria che gli Ebrei non ne potevano sostenere l’alone che lo circondava.

Ci troviamo all’origine di una teoria della gloria di Dio che gli sguardi umani non riescono a sopportare e che noi ritroviamo nel Vangelo, per esempio nella scena della Trasfigurazione, e più tardi in San Paolo, nella seconda Epistola ai Corinzi 37.

Sembra quindi che abbiamo un punto di contatto estremamente in­teressante e fecondo fra l’uso della parola soudarâ nei targum e l’uso che fa San Giovanni di questa rara parola 38.

Teologia della gloria divina

Il Santo Volto di Nostro Signore, in positivo e negativo.
Nel corso di dicianove secoli questo ritratto rimase incompensibile agli artisti che tentavano di interpretarlo. L’invenzione della fotografia, facendolo passare dal negativo al positivo, ne ha subito rivelato la bellezza insospettata di una nobilità incomparabile.

Per capire la ragione della sostituzione, fatta da S. Giovanni, di questo termine alla parola sindon, consacrata dai Sinottici, siamo obbligati ad entrare nella teologia stessa dell’Evangelista, la teologia della Gloria Divina.

Questa Gloria di Dio si è irraggiata sul Cristo, sul viso del Cristo, non al momento della Trasfigurazione, di cui tuttavia San Giovanni è stato testimone, a voler credere agli altri Evangelisti, e che egli non racconta 39, ma al momento preciso della sua suprema umiliazione, del suo massimo avvilimento, che è la sua « Ora » e il grande « Segno » 40, che Egli dà al mondo. La Gloria del Cristo, « Abbiamo visto la sua Gloria » 41, è la Gloria del Cristo nella Passione.

E innanzitutto è sulla Croce, piantata sul Monte Calvario, che il Cristo, come su un nuovo Sinai, ha fatto apparire la Gloria Divina, che la Gloria Divina si è riversata sul suo viso. E una cosa assolutamente paradossale ma molto nota : mentre a noi la Passione si presenta corne uno stato di disfatta e di umiliazione, la Passione per San Giovanni, che ne era testimone come alla Trasfigurazione, è l’Ora della Gloria, l’Epifania, lo sfavillio della Gloria di Dio sul viso del Cristo.

In seconde luogo è altrettanto noto agli esegeti, e semplicemente a coloro che hanno letto il primo capitolo di San Giovanni, che Gesù sembra all'Apostolo-discepolo, che Gesù amava, il nuovo Mosè, il nuovo Profeta, il Profeta atteso 42. Ecco perché il Prologo è strutturato mediante chiasmi su questo insistente paragone, questo parallelo fra il Verbo, che si è fatto Carne « e abbiamo visto la sua Gloria », e Mosè, dal quale ci è giunta la Legge : « Poiché, se la Legge è stata data da Mosè, La Grazia e la Verità sono venute da Gesù Cristo » 43

Quindi, fin dal Prologo, Mosè e Gesù sono messi in parallele. Di più gli esegeti hanno mostrato corne, nei più antichi testi di San Giovanni, il primo riconoscimento del Messia da parte degli Apostoli è stato il seguente : È lui, il Profeta annunciato da Mosè nel Deuteronomio come colui che sarebbe venuto dopo di lui, che sarebbe stato più grande di lui, il nuovo Legislatore 44.

Ebbene, abbiamo qui riuniti, i due elementi che ci permetteranno ora di capire la scelta della parola « soudarâ » da parte di San Giovanni. Gesù è il nuovo Mosè, Gesù è salito sul suo Sinai, per la sua Trasfigurazione il Venerdi Santo, al momento della Crocifissione. È qui che è stato ricoperto dalla Gloria di Dio.

Ridiscendendo dal Calvario, il Cristo nasconde la sua Gloria per essere compreso, per essere visto dagli uomini nel suo stato umano. È il mo­mento dell’umiliazione. Come Mosè che si copre il viso, il Cristo è rivestito del sudario, ed è precisato nel Vangelo di San Giovanni che il sudario gli passa sulla testa, gli copre la testa e non soltanto il corpo ; la testa è dunque velata.

Al momento della Risurrezione, la sua luce, la luce del suo volto si manifesta (è forse la bruciatura riconoscibile sulla Sacra Sindone di Torino?) e il Sudario, che è un negativo della luce del Cristo, è semplicemente il velo trapassato da questa luce e che lascia apparire ai nostri occhi i tratti del Salvatore Glorioso.

Per concludere, aggiungiamo solo una parola, che si adatta magnificamente con lo spirito del Vangelo di San Giovanni. Per diciannove secoli questo Sudario è stato illeggibile, non lasciando apparire che macchie informi e sgraziate. Questo Sudario è stato come l’oscuramento della Gloria Divina ; non era che un simbolo di morte. Le scoperte scientifiche del XX secolo lo hanno, di colpo, fatto passare dal negativo al positivo, dall’oscurità alla luce, e ora, considerando le foto di quest’oggetto, diciamo: il Cristo ha ritrovato la vita ; il Cristo in una folgorazione di Glo­ria, in uno splendore di luce, ha bruciato in parte il velo che lo avvolgeva e gli impediva di splendere, e manifesta la sua Gloria. È un « segno ».

Siamo invitati a imitare l’atto di fede di S. Giovanni che per primo vi­de la Sacra Sindone nel Sepolcro la mattina di Pasqua : « Vide e credette ». A nostra volta, noi, vedendo il Sudario, non possiamo fare altro che cadere in ginocchio : Abbiamo visto la Gloria del Cristo. Essa risplende. Passa al di là di quel tessuto, e deve bruciare i nostri cuori. « Abbiamo vi­sto la sua Gloria, Gloria proveniente da un Padre al suo unico Figlio, pieno di Grazia e di Verità » 45.

APPENDICE SU GIOVANNI XI, 44

Padre Fossati, nel corso del dibattito seguito a questa comunicazione, mi ha fatto obbiezione, basandosi su Giovanni XI, 44. E più di recen­te, Robinson, professore al Trinity College (Cambridge), dopo aver letto la mia comunicazione, mi rimprovera amichevolmente di « ignorare quel testo-chiave in cui il sudario passa attorno al viso di Lazzaro. E io suggerisco, insiste l’illustre esegeta, che l’unica cosa che puô passare « intorno al viso » (di Lazzaro) e « sulla testa » (di Gesù) è una mentoniera » 46.

Obbligato a fare una breve comunicazione, avevo rinunziato a completare la mia prova con l’analisi di questo testo, evidentemente parallelo. Quindi parliamone. 

Tutta la questione si incentra sull’identificazione di ciô che « era sta­to legato attorno » (periedédeto) da un soudarion. Lavergne, Feuillet, Robinson interpretano che si tratta del « volto », « il viso » (é opsis) di Lazza­ro. Ecco perché riducono il soudarion alle dimensioni di un asciugamano e alla funzione di mentoniera.

Osserviamo prima di tutto che se, stando a quanto dice Delebecque, San Giovanni racconta ciô che ha visto e tace su ciô che non ha visto, Lazzaro risulta troppo poco vestito ! Non scherzo ; il Padre Lavergne è imbarazzato da questa « assenza di qualunque precisione sul vestito (lenzuolo, tunica) » del morto. Ma presto si rassicura : « Appena sarà stato slegato, Lazzaro riprenderà il suo posto fra i vivi, nel ciclo della vita quotidiana. La quai cosa fa pensare che allora era rivestito almeno da una tu­nica » 47.

Ma allora, altra demanda : Lazzaro era dunque sepolto in questa tu­nica, senza un altro « sudario » ? Lavergne esce male da questa difficoltà : « Probabilmente il sudario era rimasto nel sepolcro. Ma questa tesi è abbastanza debole. Ne convengo e non vi insisterô » 48.

È chiaro, il concetto di soudarion-mentoniera porta gli esegeti, che ne sono partigiani, alle stesse incoerenze, sia a proposito di Lazzaro che di Cristo nella tomba. Invece tutto è semplice e soddisfacente per la ricostruzione dei due seppellimenti, se vorrete considerare, insieme a noi, che sia il « soudarion » di Lazzaro, sia quello di Gesù, era proprio il suda­rio : un gran telo di stoffa che passava sopra la testa, avvolgendola corne pure tutto il corpo, attorno al quale era trattenuto da quelle « cinghie », che Giovanni da poco ha menzionato, che trattenevano mani e piedi. La stessa parola aramaica (soudâra), che, a nostro parère, dà origine al ter­mine soudarion, sembra avere perfino la stessa esatta sfumatura che nel 20,7. Perô per capirla, bisogna tradurre ogni parola seconde il senso ovvio e la sua vera funzione.

E prima di tutto è a torto che il Padre Feuillet dà a keiriai il senso di bende, escludendo quelle di othonia 49. In realtà i due sostantivi possono essere tradotti con questo termine generico, benché ognuno abbia una sua sfumatura. Keiriai significa cinghia, più particolarmente cinghia di letto (instita). Othonia indica delle strisce di stoffa, pezzi di tessuto, più particolarmente di lino (linteamina).

Ma c’è di più. La traduzione quasi unanime, per quanto io ne sappia, di opsis configura, senza dubbio in ragione della falsa identificazione con facies che ne è la traduzione latina, sembra un’errata interpretazione. Questa parola, la cui radice è op, vedere, significa la vista, sia in sen­so attivo [l’atto di vedere e lo stesso organo della vista], sia in senso passivo [ciô che si vede, lo spettacolo, l’apparenza esteriore, l’aria, l’aspetto]. Ed è questo seconde significato che giustifica la sua traduzio­ne con facies in latino : forma esteriore, apparenza, bell’aspetto e, conseguentemente, fisionomia e tratti del viso. I due significati recensiti dal Padre Lavergne nel Nuovo Testamento hanno esattamente questo sen­so e ambedue sono giovannei 50. Secondo l’esempio della letteratura classica, il Nuovo Testamento riserva la designazione del viso a prosô-pon, che il latino traduce generalmente con uultus (Luca 9, 29), e talvolta con faciès (Matteo 17, 2). A maggior ragione ê opsis non ha niente a che vedere con ê képhalè, la testa, di cui la corrente esegesi lo pone co­rne équivalente per il fatto che il soudarion si dice passi «al di sopra della testa» di Gesù 51.

Dunque in Giovanni 11, 44, si tratta dell’apparenza esteriore di Lazzaro, che « era stata legata tutta intorno con un soudarion ». È la « vista » stessa di quest’uomo, che viene ad essere « circondata » da questo panno, e quindi sottratta agli sguardi degli astanti. Il senso è esattamente parallelo a quelle che abbiamo determinato circa il seppellimento di Gesù, in cui il velo (soudâra) smorza il maestoso splendore che questa « apparen­za » rivestiva di solito nel Maestro. Nel caso di Lazzaro, non si tratta che « dell’aspetto » di un semplice uomo, con in più tuttavia il fatto che quest’uomo « era stato morto » (o tethnèkôs) e che si mostrava di nuovo uscendo dalla tomba. Sotto gli occhi dei testimoni sbigottiti era una vera e propria « apparizione », benché « la vista » dell’uomo stesso (ê opsis autou) restasse obnubilata « da un soudarion » che lo « circondava ». La tra­duzione risultante da questa analisi è del tutto chiara :

« II morto usci, legato alle mani e ai piedi con delle cinghie, e apparve avvolto da un sudario ».

Egli «appare nascosto» nel suo sudario : è con questo paradosso, molto più évidente nella costruzione délia frase greca, che San Giovanni rende in tutta la sua forza lo stupore dei testimoni.

« Non è detto che Lazzaro si sia alzato nel sepolcro, ma soltanto ciô che dovette colpire di stupore i presenti, in che modo il morto usci dalla camera interna e apparve ancora avvolto come un morto. Se Lazzaro fosse venuto slegato dai suoi viluppi, sarebbe stato un seconde miracolo : e sembra che un altro sia anche quelle che egli potesse avanzare cosi saldamente legato. Ma questo modo di essere aveva la sua giustificazione : mostrare in quale stato era Lazzaro e confermare il fatto della risurrezione da questo camminare prodigioso 52.

Nello stesso tempo che ricostruisce il film sorprendente della scena di cui fu testimone. San Giovanni sa farne comprendere tutta la portata : Gesù spezza i legami che mantenevano velata questa « apparizione » e la restituisce alla luce del giorno : « Slegatelo e lasciatelo andare ».


1) Cfr. L. FOSSATI. Rifiuto quasi unanime degli esegeti per la Sacra Sindone? « Sindon », XVIII. 24. 31-38. 1976. L’atteggiamento polemico di F.M. BKAUN (Le Linceul de Turin et l’Evangile de saint Jean. NRT 71 (1939). 900-935: 1025-1046 e 72 (1940) 322-324) costituisce a questo riguardo una posizione estrema. Il contributo del Padre FEUILLET al Congresso di Torino, nell’ Ottobre del 1978, ha permesso di valutare il cammino percorso in quarant’ anni : « Se numerosi lavori scientifici di qualunque genere dimostrano che il Sudario di Torino, lungi dall’essere il frutto di una pia frode (pittura, ricalco), ha realmente avvolto un cadavere, le cui particolarità corrispondono a quelle del Cristo dei Vangeli, come potrebbero degli esegeti seri e obiettivi non tener conto alcuno di questa dimostrazione ? » (La Sindone e la Scienza, Bilanci e programmi, 2° Congresso Internazionale di Sindono­logia. Ed. Paoline. Torino, 1979. p. 239).

2) Cfr. I. WILSON. Le Suaire de Turin. Albin Michel, 1978. p. 85 : « Quale conclusione traire da questi studi di esegeti, se non che non si puô essere sicuri di mente ? » Questa disillusa riflessione riflette una mentalità molto diffusa. È vero che la Sindonologia prende il via nel preciso istante in cui l’interpretazione dei racconti evangelici, impantanati nelle contraddizioni della moderna ermeneutica, attraversa una crisi forse senza precedenti. « Da parte mia, mi scriveva recentemente Padre Dubarle, conosciutissimo per l’interesse che porta nei confronti dei progressi della Sindonologia, attribuisco più importanza alle prove obiettive fatte sul sudario che alle discussioni degli esegeti. Corne spesso succede nell’archeologia, costoro dovranno accontentarsi dei fatti concreti, se sono ben sicuri ». Non c’è molto da illudersi sullo stato della moderna esegesi !

3) “ If genuine, the Shroud would also constrain us to take more seriously many details in the record which its image has confirmed. This applies especially to the fourth gospel, a conclusion which does not surprise me in the past, since I have become convinced that it contains some of the best history in the New Testament. But it should shake a good ma­ny current scholarly presuppositions that it tells us much of the Christ of faith but little of the Jesus of history”. (John Robinson, in La Sindone e la Scienza, op. cit.. p. 273).

4) Gv. 20. 5-7.

5) « Avendo Giuseppe comprato un lenzuolo (sindôn) e calatovi (Gesù) lo introdusse (eneilèsen) nel lenzuolo » (Mc. 15, 46). Matteo e Luca usano un altro verbo : Giuseppe « avvolse » (enetulixen) il Corpo (Lc. 23, 53) nella sindone. Ritroveremo questo verbo raro, adoperato ancora da San Giovanni al passivo per indicare il soudarion scoperto nella tomba vuota (infra). Matteo precisa che questa sindone era "senza macchia" (kathara, Mt. 27,60). Il Padre LAVERGNE si è a lungo interrogato sul senso di questo insolito aggettivo. Mat­teo vuole forse «sottolineare la qualità di questo lenzuolo che è perfettamente bianco, co­me dev’essere un sudario, oppure ritornare con questa scappatoia sul particolare del recente acquisto che ha omesso ?» (La preuve de la Résurrection de Jésus d’après Jean 20, 7. "Sindôn", III. 5. 7. 1961). Se si ammette di identificare la sindone di cui parliamo con il Sacro Sudario di Torino, «macchiato» delle sue misteriose impronte, nasce spontanea una spiegazione più semplice. San Matteo fa notare che prima di essere adoperato per la sepol­tura di Gesù, il lenzuolo non aveva quelle « macchie », quelle bruniture che si potevano osservare nel momento in cui redigeva il suo Vangelo e che, diciannove secoli più tardi, diventano l’oggetto dell’ inchiesta degli eruditi. Se le cose stanno cosi, avremmo implicito un primo accenno scritto del Sacro Sudario, comprovante che le sue « macchie » erano note al­la prima generazione cristiana.

6) Gv. 19, 35. Cfr. ROBINSON, citato sopra. Che San Giovanni sia un testimone attendibilissimo è stato abbondantemente confermato nelle più recenti scoperte archeologiche. Per esempio. riguardo alla sorprendente quantità e alla composizione degli « aromi » portati da Nicodemo (Gv. 19, 39) Cfr. V. FASOLA, Scoperte e Studi archeologici dal 1939 ad oggi che concorrono ad illuminare i problemi della Sindone di Torino, in La Sindone e la Scienza. op. cit.. p. 59-83. Il quarto Vangelo, a giusto titolo riconosciuto corne il più simbolico e il più profondameme teologico, viene ad essere, allo stesso tempo e nella stessa misura, il più storico, e ne forniremo una nuova prova. Tanto che non é certamente esagerato considerare San Giovanni come uno degli storici più attendibili dell’ antichità.

7) Gv. 19, 40.

8) Art. cit. « Sindôn » III. 5, 1961. p. 21 - Oggi il Padre LAVERGNE considera piuttosto « enfatico » questo plurale (La Sindone e la Scienza, op. cit.. p. 227).

9) « Senza dubbio nei papiri la parola si riferisce a biancheria o a tela fine, o anche a vestiti. Ma nei Vangeli bisogna tener conto del plurale costante, e soprattutto della forza del verbo dein (legare), che in Giovanni è adoperato per significare che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo « presero il corpo di Gesù e lo legarono con degli othonia». (Le Tombeau vide, Jean 20. 6-7. « Revue des Etudes grecques », luglio-dicembre 77. p. 243).

10) Ibid. La qual cosa mette d’accordo San Giovanni e San Marco, la cui espressione « brutale » significa « un avvolgimento stretto e solido » (BUNZLER, Il processo di Gesù. Ed. Mame. 1962. p. 436). Mi sembra impossibile eludere l’obiezione di quell’ eminente ellenista che è Edoardo Delebecque. Le ragioni che adduce contro Feuillet, nostro venerato maestro del Nuovo Testamento, del quale per lungo tempo abbiamo creduto definitiva l’esegesi, sono troppo forti. Tanto più che a questa incontestabile e incontestata autorità, Padre Feuillet non oppone altro che un disprezzo di una incomprensibile disinvoltura : « È sufficiente aprire i dizionari greci (...) ». Segue una lunga enumerazione dei significati della parola othoni-on (La Sindone e la Scienza, op. cit., p. 241). Ma non è questo il punto. Edouard Delebecque conosce lutto questo poichë ne fa menzione all’ inizio (cfr. Sopra, nota 9). La difficoltà è nel plurale : othoni-a. Bisogna riconoscere che, se si attribuisce a othonia il significato di « ben­de », si richiama decisamente l’idea di mummificazione secondo i metodi egiziani, tanto più che San Giovanni aggiunge : « con gli aromi ». Ma non è proprio per non indurre il lettore a credere che Gesù fu seppellito secondo questo costume, aborrito dagli Ebrei, che l’Evangelista precisa subito: « secondo il costume funerario ebraico »?

11) « Giovanni riferisce ciô che ha visto. Tace invece su ciô che non ha visto e che desta meraviglia. Ciô che non ha visto, in primo luogo e principalmente, è il Corpo di Gesù. In secondo luogo il sudario, sindon, che avvolgeva il corpo ». (op. cit.. p. 246). Riconosciamo almeno che l’ipotesi è sorprendente, ma possibile. Tuttavia si presenta subito un’obiezione : Giovanni non parla neanche della sindone al cap. 19, nel suo raccon­to sulla sepoltura. Malgrado cio il lenzuolo c’era sicuramente : Delebecque lo ammette. La difficoltà non è sfuggita al sagace professore, il quale si accontenta di rispondere che Gio­vanni « non dice ciô che è ovvio ». Ecco una strana incongruenza, poiché l’argomentazione avrebbe lo stesso valore per il racconto della scoperta della tomba vuota !

12) Op. cit.. p. 243.

13) Lc. 24. 12.

14) Lc. 23. 53.

15) La Sindone e la Scienza. p. 266. Parlera altrove di questa conclusione che mi sem­bra affrettata.

16)  Gv. 20, 7.

17) FEUILLET. art. cit.. p. 240. LAVERGNE : « Si tratta solo di una ripetizione della parola la­tina "Sudarium", che indicava il fazzoletto che si portava con se soprattutto per asciugare il sudore del viso (sudor)". (La protohistoire du Linceul du Seigneur, in La Sindone e la Scienza. op. cit., p. 228). Cfr. ROBINSON, art. cit., p. 269.

18) FEUILLET. art. cit.. p. 240: « Con tutta probabilità, si tratta di una specie di benda o sottogola che passava sia al di sopra della testa, sia sotto al mento e chiudeva la bocca del morto ».

19)  Gv. 19, 40.

20) Ibid. p. 247. In un precedente articolo (La découverte du tombeau vide en Jean 20, 3-10, et la Foi au Christ ressuscité, « Esprit & Vie », 5 e 12 maggio 1977) P. FEUILLET trascriveva la parola senza tradurla e per il resto si serviva di una perifrasi : Pietro « vede le bende afflosciate e il Soudarion, che era stato accomodato in testa, non afflosciato con (co­me) le bende, ma avvolto e arrotolato al suo posto ».

Nell’articolo già citato, il professor Delebecque non aveva avuto difficoltà a denunciare il caractere artificioso di questa traduzione. Prima di tutto, secondo San Giovanni, «Simon Pietro vede il Sudario (...). lo vede con i suoi occhi, direttamente. Ora, (...) sotto il sviluppo costituito dalle bende, Simon Pietro non avrebbe visto il sudario ». Secondariamente « benché siano due colonne riservate al sudario, la parola non è tradotta, e la preposizione epi, che accompagna l’imperfetto èn non puô significare che questo oggetto sia « accomodato sulla testa ». Giovanni dice soltanto « che era sulla testa ». È poi necessaria una parentesi, una sola è vero. Ma una sola è troppa, per spiegare che «con» significa «come». E infine sono necessari due verbi francesi “avvolto e arrotolato” per rendere l’unico verbo greco ente-tuligménon ». Del resto la preposizione eis con l’accusativo, che segue questo verbo, indica il movimento, e questo non è indicato. È évidente che nell’articolo, unito agli Atti del Congresso di Torino, il Padre Feuillet, malgrado i sarcasmi di cui copre il suo contraddittore (« documentazione molto incompleta », p. 241: « strana esegesi (...) talmente bizzarra che ci si puô permettere di confutarla a lungo ». p. 245), non ha potuto non tener conto delle sensate osservazioni del severo ma dotto professore di greco.

Tuttavia quest’ultimo preconizzô innanzitutto una traduzione che costituiva una stra­na ma ovvia vérità : « arrotolato in un unico luogo ». Come potrebbe un asciugamano, dato che anche questo autore considera il soudarion un asciugamano, essere avvolto in parecchi luoghi ?" Perciô non vi si è attenuto e propone ora di modificare la lettura di una parola e la soppressione del versetto 8 (Dans le tombeau vide. Jean 20, 7-8 : « Bulletin de l’Asso­ciation Guillaume Budé», giugno 1979, p. 171-174). Mi propongo di discutere quest’ipotesi in uno studio in preparazione.

21) Ibid. p. 248.

22)  « Esprit & Vie », 5 Maggio 77, p. 261.

23)  È come dire che è diventata l’esatto equivalente di sindone ! Come precisamente atte­sta l’appellativo “Santo Sudario di Torino”, che alcuni vorrebbero cambiare in « Santo Len­zuolo funebre di Torino », del tutto a torto, come sto per dimostrare. Non è stato ancora sufficientemente sottolineato che questa equivalenza di soudarion-sudario con sindone-lenzuolo funebre prevale nel latino ecclesiastico e in tutte le lingue romanze a partire dal VII secolo della nostra era, contrariamente al significato di sudario-asciugamano del greco classico derivato dal latino. In uno studio seguente dimostreremo che il lenzuolo funebre-sindon del Signore, dopo essere diventato lenzuolo funebre-soudarion in San Giovanni, ha imposto questo cambiamento.

24) Questa discordanza è molto significativa: ci ricorda opportunamente che lutta questa storia di un soudarion-sottogola in San Giovanni è una mera supposizione, inventata nel secolo scorso da FILLION (La Sainte Bible, 1887. « Commentaire à l’Evangile de saint Jean... p. 234: ripresa nel 1902 da THURSTON, il grande avversario del Santo Sudario di Torino (« Revue du clergé français » 15 nov. e 15 dic. 1902 p. 174). Si scontra in ogni caso col senso ovvio della parola soudarion, in nome di una discutibile esegesi del racconto giovan­neo sulla risurrezione di Lazzaro (LAVERGNE. « Sindon ». III, 5, 16-17, 1961), in cui la parola e la cosa appaiono ugualmente.

25)  Lo stesso P. FEUILLET ha sottolineato l’importanza dell’atto di « vedere » nella genesi della fede pasquale presso i discepoli, seconde il quarto Vangelo (« Esprit & Vie », 12 Maggio 1977. art. cit.. pp. 18-19).

26)  Questa traduzione presuppone che venga dato all’aggettivo numerale heis il valore dell’ordinale prôtos. In effetti significa che Simon Pietro trova il soudarion « nel primo luogo - oppure « nello stesso luogo » -, ma con un’ insistenza molto più pressante, insistenza che non ci si puô permettere d’ignorare in una traduzione rigorosa e che propongo di rendere con l’aggiunta di un avverbio : « esattamente al suo posto » (FEUILLET, La Sindone e la Scienza. op. cit.. pp. 249-250). Ora, benché io stesso abbia detto e scritto, con Padre Feuil­let, che l’aggettivo numerale heis poteva anche essere un ordinale, oggi io mi ritratto, per­ché è un errore. "No, mi scrive Edouard Delebecque. Potrete citare Gn. 1. 5 e 8, 13 in cui mia sembra un ordinale, mentre si tratta del « giorno uno » (mia femminile) e del « giorno uno del primo (prôtos) mese », in contrapposizione a deuteros. E questo senso apparente si trova solo nella traduzione dei Settanta, mai nel Nuovo Testamento, in cui il primo si dice sempre prôtos e mai heis. Non contestate il greco classico o le iscrizioni in cui, qualche volta, heis puô significare « primo», ma soltanto se è accoppiato a un aggettivo ordinale. In San Giovanni heis non puô significare che uno, o avere anche il senso dell’indefinito tis. Il senso di primo è impossibile ». Queste osservazioni si applicano alla lettera a ognuno dei riferimenti invocati dal Padre Feuillet (Tt. 3. 10 ; Ap. 9, 12 e Mc. 16, 2, che costituiscono un ebraismo paragonabile a quello di Gn. 1, 5 e 8, 13). La sua traduzione è quindi inaccettabile.

27) To attempt, with Lavergne (and, with modifications, Feuillet) to make the Greek mean that the soudarion was « on the contrary wrapped (in the shroud) in its (original) po­sition “is a desperate expedient”. If this is what the evangelist meant to say his language is not merely loose but positively misleading (...). But that the (sudarion) was found inside the (othonia) is an impossible deduction” (La Sindone et la Scienza. op. cit.. p. 271).

28) Cfr. LEVESQUE. Le Saint Suaire de Turin et l’Evangile, nella « Nouvelle Revue apologétique », 1939, pp. 225-237.  

Cfr. BARBET, La Passion du Christ selon le chirurgien, settima  edizione, 1965, p. 222.

29) Tg. Rt, 3, 15.

30) “Latin sudarium is a phonetic coincidence with our w.. from which it differs in meaning". (JASTROW,  Dictionary of the targumim, the talmud Babli and Yerushalmi, and the midrashic literature, New York. 1950. t. II. p. 962).

31) Questo movimento è magistralmente raffigurato nella celebre miniatura di Giovanni Battisia della Rovere (per lungo tempo erroneamente attribuita a Giulio Clovio : cfr. ANTONELLA BO, il quadro della Sacra Sindone nella pinacoteca sabauda. « Sindon ». XX, 27, 25-38. 1978).

32) Gv, 11, 44.

33) « La predilezione degli autori comici per questo vocabolo lascerebbe pensare che apparteneva piuttosto alla lingua parlata. Comunque sia, sommando tutte le relazioni spigolate nei dizionari e nei lessici, non ho potuto trovare più di una dozzina di casi, compreso San Giovanni ». (LAVERGNE. " Sindon ", III, 6, 11, 1961).

34) Gv. 20, 5-7. Normalmente heis significa « uno solo », ma in tal caso si oppone a una pluralità : parecchie realtà sono riunite in uno stesso luogo, la qual cosa non si verifica qui. Ma nel linguaggio del Nuovo Testamento quest’ aggettivo è spesso anche l’equivalente di tis. Secondo FEUILLET, questa traduzione di eis hena topon per « in un certo luogo » sarebbe di una banalità deprimente : bisogna bene che il soudarion sia stato da qualche parte !» (La Sindone e la Scienza, op. cit., p. 249). È come dimenticare che l’espressione riveste qui una solennità che è necessario ravvicinare alla parola rivolta dagli angeli alle pie donne, dopo la risurrezione. per invitarle a contemplare il luogo in cui Gesù era stato deposto : « guardate il luogo » (ide ho topos) : Mc 16, 6 ; Mt. 28, 6 : stessa enfasi nell’ impiego della paro­la topos.

35) Conoscendo la cura di San Giovanni per la precisione, possiamo facilmente indovinare una prima ragione dell’ attento studio del significato della parola sindon che troviamo nei Sinottici. BLINZLER (op. cit.. pp. 436-437) ha dimostrato che questa parola designa in primo luogo la materia del tessuto (« un tessuto fine, generalmente di lino. ma qualche volta anche di cotone »), e in secondo luogo la stoffa stessa, per esempio il panno di Marco 14, 5l ss. Ora, nel racconto dei Sinottici sulla sepoltura di Gesù, si pone insistentemente l’accento sull’eccellente qualità di una stoffa nuova (cfr. nota 5), ma è impossibile sapere sotto quale aspetto questa si presentava : cosa che il Santo Sudario di Torino ci fa oggi conoscere, come già San Giovanni, scegliendo la parola aramaica sudarâ trasposta in greco e distinta dalle bende, dagli othonia.

36) Targum, detto dello pseudo-Jonathan, di Esodo 34, 29-35. Biblia sacra polyglotta di BRIAN WALTON. t. IV.

Il manoscritto di questo targum Add. 27031 del British Museum è stato tradotto da ROGER LE DEAUT : Targum del Pentateuco, cinque tomi delle sorgenti cristiane, con la traduzione del Codex Neofiti 1 della Biblioteca vaticana, i cui « studi già fatti hanno provato i molteplici interessi per la storia dell’esegesi ebraica ed, eventualmente, per un paragone con in visione il Nuovo Testamento » (tomo I p. 41). Per il caso che ci riguarda, il paragone è degno di un attento studio. Ci permettiamo di rimandare il lettore a un prossimo articolo.

37) 2 cor. 3-4 — L’allegoria del velo di Mosè, interpretazione libera e un po’ rabbinica di Es. 34, 33-35 (A. FEUILLET, Le Christ, Sagesse de Dieu, « Etudes bibliques », 1966. pp. 116-118), fornisce a San Paolo « il simbolo del carattere transitorio dell’antica economia » (ibid.). Non è cosi per San Giovanni tutto il significato di questo « velo » abbandonato in questo sepolcro vuoto : « Nel Cristo il velo svanisce » (II Cor. 3, 14b).

38) Nessuno si meraviglierà della presenza di questo aramaismo nel quarto Vangelo, del quale alcuni buoni autori pensano che abbia, nel più profondo, un documento scritto in aramaico (cfr. BOISMARD, L’Evangile de Jean. Le Cerf, 1977, p. 68).

39) Se non, forse, per il tramite di Lc. 9, 28-36, il cui racconto, molto divergente da Mc. 9, 2-10 e anche da Mt. 17, 1-9, è di ispirazione assolutamente Giovannea (v. 32 : « Videro la Sua Gloria » : e vedi anche v. 35).

40) Gv. 2. 4 ; 7. 30 ; 8. 20 ; 12. 23 e 27; 13, 1 ; 17, l : cfr. A. FEUILLET, L’Heure de Jésus et le signe de Cana, in « Etudes johanniques », DDB 1962. pp. 11-33.

41) Gv. 1. 14.

42) Cfr. BOISMARD. op. cit.. pp. 48-49.

43) Gv. I, 17.

44) Gv. I, 45.

45) Gv. 1. 14.

46) Lettera del 17 Gennaio 1982.

47) Art. cit.. « Sindon » III, 5, 1961. p. 14.

48) Ibid. nota 57.

49) Art. cit., « La Sindone e la Scienza », p. 243.

50) Gv. 7, 24 : « Non giudicate seconde l’apparenza ». Ap. 1, 16: « II suo aspetto è simile al Sole ».

51) Gv. 20, 7.

52) LAGRANGE, l’Evangile selon Saint Jean, 1947, p. 309.