Parte seconda
IL POST-CONCILIO
del Padre G. De Linares
SEI anni fa, quando si concluse il Concilio, io avevo già una mia opinione: accettavo le dure, ma luminose dimostrazioni del Padre de Nantes sulla sottile mescolanza di verità e di errori che costituiscono il nucleo del Concilio, tanto nel suo SPIRITO inafferrabile, quanto nella LETTERA, troppo abbondante, spesso oscura, sempre equivoca, nella sua realtà romana, come nel suo urto con l’opinione pubblica. Mi riservavo tuttavia un giudizio definitivo... Il nostro assenso ai testi promulgati ci poteva essere imposto dal Papa con autorità costrittiva. Egli li poteva riportare vigorosamente nella linea dell’autentica tradizione. E poi, dall’uso che ne avrebbero fatto i nostri capi, da noi si sarebbe pienamente conosciuto la vera intenzione e la portata della nuova « pastorale » che appariva la grande conquista del Vaticano II.
Un’opposizione dichiarata non si addiceva, del resto, né alla mia età, né alla mia competenza: ero un giovanissimo vicario di parrocchia, ordinato prete da un anno. Risolsi di sottomettermi alle novità dhe ci sarebbero state imposte, a meno che non fossero assolutamente inaccettabili, ma tenni ad avvertire i miei superiori e quanti mi erano vicini, della mia ripugnanza a entrare nel movimento e ne diedi le mie ragioni di ordine dottrinale. Fu così che m’intrattenni a più riprese col cardinale Veuillot, arcivescovo di Parigi, che mi aveva ordinato e da cui allora dipendevo. Gli dichiarai la mia perfetta identità di vedute col Padre de Nantes e la mia intera solidarietà di cuore con la sua azione di resistenza e di opposizione alla Riforma conciliare. Il Cardinale non mi fece una colpa di quanto avevo detto, ma mi mandò da un padre gesuita, che incaricò di ricondurmi a idee più sane. Questo buon padre era pronto ad ammaestrarmi, ma rifiutava di discutere i testi e per iscritto. Il dialogo finì in nulla e col mio Cardinale tutto rimase allo stesso punto sino alla sua morte.
Quel che ha ricordato fratel Bruno, l’ho vissuto in Seminario; sono della generazione del Concilio e forse si coglieva meglio la realtà della Riforma un poco da lontano, dal Seminario d’Issy-les-Moulineaux, che nell’euforia di Roma stessa. Veduto dall’esterno, l’ottimismo dell’Ottobre ‘62 mi parve una specie di autosuggestione collettiva senza grande sostegno nella realtà. Si sarebbe visto che cosa ne doveva uscire. L’entusiasmo delle giornate di chiusura, nel Dicembre ‘65 mi parve anche più fittizio. Tutte le cineprese del mondo spianate contro San Pietro potevano dare al Papa e ai Vescovi l’impressione che il mondò trattenesse il fiato per meglio ascoltarli. Da qui a credere a una nuova Pentecoste... Ma a Parigi, anche il clero in mezzo al quale vivevo, se ne disinteressava già!
I nostri Vescovi annunciavano una meravigliosa primavera, un prodigioso rinnovamento della Chiesa nel cuore delle masse. Il clero ne ritenne soltanto, apparentemente, l’annuncio di una grande libertà di fare ciascuno a modo suo e ne seguì un rilassamento generale... Ma né Vescovi, né preti seppero vedere quale inverno arrivava, il più rigido che mai abbia vissuto la Chiesa al punto che alcuni dubitano possa scamparne. Gli autori e gli attori del Concilio non l’avevano prevista questa crisi! Anzi, ne avevano esclusa positivamente la eventualità. Profeti di felicità, Papa, Vescovi, teologhi e giornalisti, si sono dimostrati falsi profeti.
Immediatamente, in parrocchia, “in loco” lo scarto fra l’ottimismo grandiloquente dei teologi della Riforma, e il raffreddarsi dei cuori, il calo della pratica religiosa, l’indifferenza religiosa furono impressionanti. Ero allora a Lilas, un buon posto per farmene un’idea! Era l’oppositore del Concilio che aveva veduto giusto. Per pessimismo sistematico? Si fa presto a dirlo. Egli annunciava come ineluttabile esattamente la crisi che era venuta e nelle forme che io constatavo. E in anticipo, l’aveva messa in rapporto col Concilio: logicamente, quella Riforma della Chiesa ne sarebbe stata la rovina, e la sua rovina avrebbe fatto la disgrazia del mondo. Ogni giorno, in cento occasioni del mio ministero, dovevo accettare quelle dimostrazioni: tutto si volgeva in confusione, in disordine, in scetticismo... Sono passati sei anni. Che vi sia crisi nella Chiesa nessuno lo contesta più. Che questa rovina dati dal Concilio tutto lo prova e, più crudamente, lo provano le statistiche. È possibile allora negare che il Concilio ne sia la causa diretta, determinante, permanente?
Il Padre de Nantes lo affermò a priori, vale a dire prima che gli avvenimenti ne avessero dato la prova, col solo studio approfondito dei documenti conciliari. Ha saputo vedere gli effetti nelle stesse cause. Come Bainville, fino dal 1920, seppe leggere con incredibile precisione il concatenamento degli avvenimenti che, venti anni dopo, dovevano provocare la seconda guerra mondiale. A questo punto, la previsione sembra quasi profetica. Questi lavori di specialisti onorano il genio degli autori, ma commuovono poco le masse.
Ma a cose fatte, a posteriori, le loro dimostrazioni sono abbaglianti corroborate come sono dai fatti. Sarebbe criminale discuterli ancora. Il Vangelo dice bene: li conoscerete dai frutti... Quando un prete ha veduto, giorno per giorno, i frutti della Riforma conciliare che sono tutti, in cinque anni, una spaventevole decomposizione del cattolicesimo, come volete che si esiti ancora un attimo a designare nel Concilio l’orìgine di tutta la nostra sventura?
Se avessi esitato ancora, un’osservazione che feci in quel tempo sarebbe stata per me decisiva. Ogni volta che persone sagge, diciamo dei tradizionalisti bene intenzionati, invocano qualche testo del Concilio, contro i demolitori, non sono ascoltati, nemmeno in alta sede, come se quei testi fossero senza valore e il Concilio senza autorità. Hanno un «bel dire: Il Concilio dice che... fiato sprecato! La Gerarchia resta sorda, come a un richiamo a testi senza interesse. In cambio, tutte le sovversioni avvengono in nome del Concilio, a torto o a ragione, invocando il suo spirito, i suoi orientamenti o la sua dinamica, poco importa. Basta che i loro autori pronuncino la parola magica, Vaticano II, perché l’Autorità ceda tutto senza esame, senza discutere, e i fedeli siano abbandonati alle loro mani, asserviti alle loro invenzioni. Fosse accaduto una volta, due volte, si potrebbe invocare il caso. Ma è la storia di tutti i nostri dibattiti, di tutte le nostre resistenze durante sei anni, dopo il Concilio. Ho sempre veduto i tradizionalisti che si opponevano all’eresia, anche alla più grossolana, alla anarchia più folle, sconfitti perché invocavano il Concilio: sistematicamente il Concilio a loro non apparteneva. Ma ho veduto i modernisti e progressisti dominare la Gerarchia, completamente appiattita davanti a loro, al solo accenno al Concilio. È cosa che fa riflettere!
La mia testimonianza di giovane prete, vicario del sobborgo parigino, è questa: coloro che hanno fatto professione di seguire lealmente il Concilio e di adottarne la Riforma, sono stati tutti, assolutamente tutti, presi nell’ingranaggio della nuova Pastorale, e in questa solidarietà coi Riformatori si sono trovati ad agire contro la propria coscienza o a lasciare agire così i confratelli, senza potervisi opporre, e nemmeno dimostrare la loro disapprovazione.
Allora, LETTERA o SPIRITO, ATTI o ORIENTAMENTI, queste finte distinzioni od opposizioni non hanno una realtà. L’accettazione del Concilio travolge colui che vi consente, nel turbine senza fine e senza limite dell’autodemolizione della Chiesa, come attore o come spettatore rattristato, ma impotente.
1 - LA LUNGA NOTA DELLE BATTAGLIE PERDUTE
È un compito ingrato per me ricordarvi tutte le battaglie perdute dall’integrismo conciliare, contro la sovversione trionfante. Nessuna vittoria, o vittorie di Pirro. Una interminabile lista di sconfitte. Permettetemi di pensare che tanta energia non sarebbe stata spesa in pura perdita se, riflettendo di più ci si fosse opposti non al riformismo violento, in nome di un riformismo moderato, ma al riformismo in sé, indivisibile nel suo PATTO, nei suoi PRINCIPI e nei suoi UOMINI. La Riforma è un blocco. Bisognava opporle un Hocco senza fessure, anche più duro, una lega di CONTRO-RIFORMA, e si sarebbe vinto. Ma non è mai troppo tardi per fare bene!
Ricordatevi la battaglia contro Teilhard!
Era vinta in precedenza! Contro l’invasione di questa mistagogia « transcristiana » avevate l’Enciclica Umani Generis, e meglio ancora, nel 1962, il Monitum del Sant’Uffizio che proscriveva le opere di Teilhard «formicolanti di errori». Quando il teilhardismo parve acquistare diritto di cittadinanza nella Chiesa, nel 1966, alcuni amici tennero a Parigi una grande riunione sotto l’egida del Monde et Vie, per denunciare la grande svolta dei gesuiti » che passavano dall’anatema all’entusiasmo per Teilhard. Quando ebbero parlato, mirabilmente, del resto, due padri, saliti sulla scena, ebbero tuttavia l’ultima parola. Sì, ammisero, abbiamo cambiato rotta, ma per docilità verso la Chiesa del Vaticano II, nella fedeltà allo Spirito... Oggi, è la Chiesa « in stato di Concilio » che adotta Teilhard. I ribelli al Concilio e al Papa non sono dalla nostra parte, ma dalla vostra... E presentarono ai nostri amici Teilhard come esempio di obbedienza!
Infanti, il teilhardismo di Gaudium et Spes non ha bisogno di essere dimostrato. Ve l’ha iniettato Monsignor Haubtmann... E poco tempo dopo questa riunione parigina, come fatto apposta, il Papa stesso osava evocare Teilhard che, nonostante alcune ambiguità, proponeva una nuova espressione della fede, adatta alla mentalità scientifica del nostro tempo, conforme agli orientamenti e ai voti del Vaticano II! Oggi il cardinale Daniélou, come il padre de Lubac, non lasciano perdere occasione d’associare Teilhard al salvataggio della Chiesa in questi torbidi tempi, è la folla degli integristi applaude, rinnegando sé stessa per fedeltà al Papa e al Concilio!
Ricordatevi la battaglia per l’Eucarestia.
Fu durante il Concilio Che il mondo apprese le teorie scandalose e le pratiche sacrileghe dei modernisti olandesi. Si parla di « transignificazione » e di « transfinalizzazione », di conseguenza dopo la messa si gettano le ostie consacrate, si celebrano agapi dubbie in compagnia di pastori protestanti e di umanisti atei, non ci si confessa più, si riceve l’ostia nella mano, chiunque pronuncia delle parole di consacrazione sempre nuove... È un pasto di pane e vino.
Ma i testi liturgici del Concilio sono apparentemente fermissimi. E più ancora l’Enciclica Mysterium F idei che il Papa pubblica nel 1965, dia vigilia dell’ultima sessione. E di più il suo Credo, del 1968! Gli integristi avevano dunque ragione di dire: basta fondarsi sulle sagge e sane riforme liturgice del Vaticano II, seguirle, senza superarle, e l’eresia olandese sarà presto riassorbita?
La smentita arriva loro negli avvenimenti stessi. Senza forza contro l’eresia, l’idea della riforma liturgica, al contrario, le ha fatto strada ovunque, nel mondo intero. Inaccessibili alle nostre proteste, fermissimi nel respingerci, i Vescovi sono deboli come fanciulli di fronte a ogni innovazione e la sottoscrivono a due mani. La sola idea di apparire contrari alla Riforma li getta nel pànico. Loro stessi non osano più predicare la transustanziazione, permettono si distribuisca la comunione nei panieri, da donne in minigonna... Hanno paura delle donne. « Anche tu » direbbe loro una di quelle sfrontate « sei della Contro-Riforma! » E loro arrossirebbero e rinnegherebbero la loro fede.
A giudicare dalla pratica nelle parrocchie, vediamo sotto la bandiera conciliare venire avalliti una generazione di Vescovi e di preti che non oseranno più credere, o sembrare di credere, nella Presenza reale, vera e sostanziale, di Gesù Cristo nei nostri tabernacoli.
E i superamenti dell’ecumenismo conciliare!
Invocherete il Decreto del Vaticano II sull’ecumenismo, corretto di propria mano dal Papa, per contraddire gli incredibili eccessi dell’ecumenismo violento e anche quelli dell‘ecumenismo ufficiale. Ma invocare questo decreto sarebbe dimenticare che il padre Congar si portava garante, lui Congar, che i cambiamenti pontifici non cambiavano nulla al testo e non avrebbero impedito nulla di quanto era stato deciso. Come Congar era sicuro di sé! E sicuro che il movimento non si sarebbe arrestato!
Ora, lo stesso Paolo VI, nel 1967, permette a Barbarina Olson (una protestante) di comunicarsi nel giorno del suo matrimònio, senza abiura, né confessione. Nel 1968, il Cardinale Marella dà il medesimo straordinario permesso agli osservatori protestanti dell’Assemblea di Médellin. La cosa del resto viene praticata impunemente in Olanda. A Parigi, rue Vaugirard, presso i Laurentin, favoriti da un maggio contestatario, una celebrazione comune raduna cristiani di tutte le confessioni; Monsignor Marty deplora. Poi, nel 1970, il Decreto del Segretariato per l’Unità dei Cristiani accorda l’Eucaristia agli eretici... in casi urgenti. Il Vescovo di Nanterre inventa allora « l’urgenza della felicità » per permettere la comunione agli eretici e scismatici nel caso di matrimoni misti. Senza abiura e senza confessione...
Senza il clima conciliare, per tali azioni autori e complici sarebbero stati colpiti, ipso facto, da scomunica. Adesso non ci si capisce più nulla. Dal Concilio in poi tutto è permesso. Andate a opporvi brandendo i testi conciliari! Il Concilio ha voluto, come per ispirazione dello Spirito Santo, la riconciliazione di tutti i cristiani. Chi vuole il fine, vuole i mezzi! Del resto, il cardinale Willebrands ha detto ora che il Concilio aveva ritrovato le intuizioni più profonde di Lutero! E allora!
E il catechismo olandese per adulti!
Nel 1966 veniva pubblicata una Introduzione alla fede cattolica di un genere del tutto nuovo. Questa presentazione della fede adattata alla mentalità moderna è biblica, ecumenica, scientifica, mondana. Questo catechismo per adulti risponde esattamente ai desideri del Concilio. Non se n’esce: il Concilio l’ha voluto, DUNQUE non si può condannarlo, né riprovarlo, né vietarlo! E tuttavia, non insegna più la fede cattolica, ma la più violenta delle eresie: il Modernismo. Sollecitata a intervenire e a giudicare, la Santa Sede riconosceva formalmente gli errori gravi e numerosi del preteso catechismo. Non riuscì tuttavia a ottenere che gli autori li correggessero...
Il Cardinale Ottaviani segnalò allora alle Conferenze episcopali dieci errori gravi che si diffondono nella Chiesa e contro i quali li avvertì di reagire con fermezza. L’Episcopato francese se ne ride, l’Episcopato olandese risponde con una specie di sfida, redatta dal padre Schillebeeckx, che difende l’eresia su tutti i punti segnalati e che esclude, in nome dèi Concilio, ogni possibilità di condanna.
Oggi, Ottaviani ha dato le dimissioni, i Vescovi olandesi governano la loro Chiesa nazionale a capriccio e il Catechismo olandese, non corretto, è diffuso da tutte le parti, perfino a Roma, dove è elegante, per un seminarista, averlo come manuale di teologia. Il Credo di Paolo VI proclamerà è vero, su tutti i punti discussi, la fede cattolica ma per mancanza di correzione dell’errore, per mancanza di ìnterdizione del cattivo libro, per mancanza di condanna dei teologi modernisti ostinati, il Credo del Papa si sovrappone all’errore come un’opinione concorrente, e sono due espressioni possibili della fede cristiana. Anche così, il Credo del Papa si piazza meno bene; gli si rimprovera apertamente e impunemente la forma « scolastica », « medievale » che non risponde alle esigenze del pensiero moderno, né agli orientamenti conciliari!
Così, nella materia più grave che ci sia, il Concilio si è schierato durante tutta questa battaglia, contro la fede, per l’eresia. Lo spirito del Vaticano II ostacola la custodia della Rivelazione divina e si dimostra l’onnipotente rifugio e il migliore appoggio del Modernismo. Così il Concilio significa libertà dell’errore e soffocamento della verità. Lo diremo fino a quando il Catechismo olandese non sarà corretto o vietato. È un veleno per le anime...
La questione del Fondo comune obbligatorio in Francia, non è più consolante. È fin troppo nota. Nonostante la nostra opposizione, la Riforma ha vinto. Ovunque nel mondo, i catechismi hanno seguito il gusto del giorno sull’esempio del nostro, per la più grande sventura dell’infanzia. Anche su questo punto, il Vatidatio II doveva annullare il Condito di Trento!
D’altronde, il principale responsabile di questo attentato perpetrato contro l’infanzia cattolica, in Francia e nell’Africa francofona, il padre Orchampt è stato nominato vescovo, -mentre il principale organizzatore a conferenziere della campagna contro il Fondo comune obbligatorio, era anche lui convocato a Roma, al Santo Uffizio, nel 1968, per subirvi un processo d’eresia, da cui è tornato evidentemente indenne da ogni condanna, ma diffamato sul piano mondiale... IL PARTITO CONCILIARE SI DIFENDE!
La Battaglia della Messa.
È vero che il Concilio aveva deciso di rimaneggiare i riti e le preghiere della Messa e degli altri Sacramenti. È vero che ne aveva posti i principi, come ha confessato cinicamente Bugnini, in maniera così elastica e larga, da permettere alle Commissioni postconciliari la libertà d’inventare e di creare qualsiasi cosa. Fu dunque nella perfetta legalità, in applicazione, alla Riforma del Vaticano II, che la Commissione Lercaro-Bugnini pubblicò un nuovo Ordinario della Messa schiettamente ecumenico in cui il Sacrificio è cancellato a beneficio del pasto, e il ricordo della Cena sostituito al Memoriale della Croce. Il famoso articolo 7 esprime tutto ciò in una nuova definizione della Cena che non è più cattolica ma calvinista. Nella logica implacabile del Vaticano II, la Chiesa si volge verso il protestantesimo!
Senza dubbio, su questo punto, l’opposizione tradizionalista ha riportato una sicura vittoria. Precisamente perché la lettera dei Cardinali Ottaviani e Bacci al Papa Paolo VI non si appellava affatto al Concilio Vaticano II che, come la canna, trapassa la mano di colui che vi si appoggia, ma al Concilio di Trento. È cosa infinitamente più seria. La prova? Il Nemico è indietreggiato: l’articolo 7 è stato corretto. Allora fu necessario che il Papa impegnasse tutto il suo prestigio personale per imporre senza replica al mondo (quasi) intero la nuova Messa. E non ha nemmeno osato farlo per vie legali, né a suo nome, ma al nome del Concilio!
Quel che allora mi parve più illuminante, fu il passo della sua allocuzione del 26 Novembre 1969, in cui Paolo VI proclama l’abbandono generale del latino a beneficio delle lingue popolari, come una decisione del Concilio. Il vero Concilio e i suoi Atti ufficiali non hanno dettò nulla di simile. Hanno anche decretato esplicitamente il contrario. Non che il Papa siasi ingannato o abbia tentato di ingannare la Chiesa. È soltanto la prova, di per sé sufficiente, che il Concilio, per i suoi autori, è uno spirito, una mentalità nuova, una tendenza, un partito che si definisce da sé, non per ciò che è stato ma per ciò che diviene e diverrà: la Riforma della Chiesa permanente, illimitata, universale. Il Concilio è la Riforma. Il popolo cristiano cambia messa, cambia camicia, perché il mutamento è il Concilio e viceversa!
È necessario evocare anche la questione della pillola antifecondativa?
Fin da principio, l’antifecondazione e al suo seguito, il divorzio, i rapporti prenuziali, il matrimonio dei preti, l’aborto e, per finire, l’unione libera e l’omosessualità si sono insinuati nei dibattiti preconciliari, conciliari e postconciliari come iscritti nella linea dei loro orientamenti e delle loro preoccupazioni pastorali: dare agli uomini una morale dhe li renda padroni del proprio destino, concedere libertà di coscienza e pieno appagamento carnale. È vero che l’opposizione integrista riuscì a inserire in qualche punto il richiamo alla subordinazione delle coscienze individuali all’insegnamento del Magistero ecclesiastico. Sì, ma fu una parola che passò inavvertita.
Bene, quando il Papa condannò le pratiche antifecondative in termini formali e con un coraggio al quale teniamo a rendere omaggio qui, la questione doveva ritenersi giudicata dal Magistero supremo; ogni coscienza, ogni retta coscienza, doveva inchinarsi, in virtù dello stesso Concilio! Nulla di tutto ciò! Gli Episcopati, gli uni dopo gli altri, e il nostro con grande chiasso, contraddissero formalmente la dottrina tradizionale divenuta l’insegnamento di Paolo VI. Si valsero, per ingannare i loro popoli di argomenti sofistici depravati, autentiche offese a Dio, e si appellarono molto più giustamente dei loro oppositori, a un Concilio che intendeva, soprattutto, dare agli uomini licenza di seguire gli istinti e i capricci della loro natura carnale, alla ricerca di una felicità che nessuno doveva rifiutare loro.
Paolo VI così disprezzato, non intervenne. Non avrebbe potuto intervenire; la ribellione avveniva in nome delle conquiste inaudite di quel Vaticano II che egli non vuole a nessun patto rinnegare. Ahimè! Il suo divieto doveva trovare appoggio soltanto in alcuni riempitivi introdotti provvisoriamente nei testi, per placare i critici dell’integrismo. Humanae Vitae andava dunque contro lo SPIRITO del Concilio e contro la sua LETTERA in genere, per non parlare di una espressione reazionaria. Humanae Vitae fu dunque ritenuta superata, e molto contestata subito dopo la sua promulgazione! Anticonciliare, sebbene del 1968! Come il Credo, come tutto...
Nella mia parrocchia, il padre Oraison venne a risolvere il problema in giugno, prima del Papa. Tornò nell’autunno, contro il Papa, senza ritrattarsi affatto. Furono vane le nostre proteste; era lui, Oraison che aveva ragione. Andava nel senso del Concilio!
2 - PER LA SALVEZZA DELLA CHIESA:
ABBASSO IL VATICANO II, VIVA IL VATICANO III
Pensate all’itinerario spirituale di un vicario di sobborgo parigino, che per buona sorte ha avuto buoni maestri e buone letture, che liei 1968 resta ancora fedele alla Santa Tradizione della Chiesa Romana, consapevole delle ragioni della sua fedeltà. Porta la veste e dall’estate del 1962, vede tutti i suoi confratelli l’uno dopo l’altro abbandonare la veste per il clergyman o l’abito borghese. Non pensa affatto al matrimonio, non vi ha mai pensato, non vi penserà mai. E di continuo, dopo il Concilio, ude sospettare la virtù dei preti, arringhe in favore del loro matrimonio, e critiche debilitanti del celibato. Comincia a vedere intorno a sé, e sempre più apertamente, dei preti andarsene e ottenere le autorizzazioni necessarie per tornare presto a sposarsi nella loro stessa chiesa...
Questo prete amava la liturgia antica, credeva dhe l’avrebbe approfondita e se ne sarebbe nutrito per tutta la vita; aveva appreso le gravi ragioni per le quali la Chiesa, dal Concilio di Trento sino ai Papi Pio XII e Giovanni XXIII, aveva deciso di custodire gelosamente il latino come sua lingua liturgica, propria e inalterabile; amava il gregoriano come il tesoro dei canti polifonici e alcuni cantici dell XIX Secolo, che avevano affascinato la sua infaniza. In un batter d’occhio dovette rinunciare a tutto ciò. Per via dell’inevitabile aggiornamento conciliare. Che gli si para davanti dalla mattina alla sera come un ostacolo, sui familiari sentieri della sua felicità sacerdotale.
Nel 1968, gli sono giunti infine due successivi incoraggiamenti, il Credo di Paolo VI, e l’Enciclica Humanae Vitae. Il tempo di andare in una colonia per le vacanze, e torna in parrocchia per sentirsi obbligato ad adottare un catechismo contrario alla fede, e ad assolvere in confessionale quel che il Papa condanna come peccato mortale. Anche se conciliari, tali novità, simili colpi di forza, restano inaccettabili. Se rifiuta? Allora, non insegnerà più il catechismo e verrà liquidato come oppositore alla pastorale del gruppo! Nel 1969, uno sconforto anche peggiore: la Nuova Messa con le sue letture adulterate, falsate, il suo nuovo calendario liturgico! E il divieto di celebrare la Messa di sempre. Tutto è permesso, ma non celebrare la Messa romana antica! La Comunione nella mano, distribuita da ragazze, le messe domestiche sopra la tavola di cucina, dopo pranzo... Tutto è permesso, tolto il bene! Tutto ciò lo disorienta, lo disgusta. Sì, è disgustato.
Adesso, sempre in nome del Concilio, che ha preconizzato un « nuovo tipo di prete » ha esaltato il sacerdozio comune dei fedeli, teme che il suo Vescovo, una bella mattina, venga a informarlo che egli non è più prete del droghiere dell’angolo o della fornaia, e piuttosto meno, perché inutile. E voi vorreste ohe egli proseguisse la schermaglia d’onore dell’integrismo conciliare col Cardinale Daniélou?
No, no! O accettando l’implacabile logica del Vaticano II si avvierà per la grande scivolata che lo renderà alla vita civile, al matrimonio, al lavoro manuale e alla politica, o, per restare fedele, manderà bellamente a spasso, e per sempre, questo funesto Concilio, origine e causa di tutte le sue sventure e le nostre.
QUINDI,
Noi tutti, membri della Santa Chiesa, fedeli alla sua Tradizione apostolica, ci troviamo davanti a una scelta urgente e capitale. Se ci ostiniamo a riferirci al Vaticano II col pretesto che è il solo Concilio, la sola Autorità riconosciuta da tutti, saremo passati sotto il torchio, e finiremo, per obbedienza, modernisti in religione e progressisti in politica.
Se vogliamo restare quel che la Chiesa ci ha fatti, la sola resistenza valida consiste in un rifiuto assoluto e definitivo della Riforma pastorale uscita dal Vaticano II. Questo rifiuto può essere fatto con inerzia discreta, con lentezza calcolata. Ma se è pubblico e attivo, questo rifiuto dovrà per forza prendere il nome di Controriforma. Notate che questo nome torna sempre più spesso sotto la penna dei modernisti come quello che più richiama la loro ostilità. Segno che la Controriforma Cattolica, solo la parola, è già una loro sconfitta!
Per parte mia, già ritengo, mio dovere di prete, un onore e una grazia di Dio dhe mi viene offerta, l’impegnarmi sotto questa bandiera per meglio servire.
Questo rifiuto, pubblico, senza ambagi, dell’eredità del Vaticano II mi ha apportato subito una doppia gioia spirituale. Anzitutto, il sentimento di restare cattolico, fedele a Dio, ai nostri Padri, ai nostri Maestri, in piena libertà. L’obbedienza al Concilio era un incubo che, lo vedevo, non poteva finire se non in maniera tragica: o l’apostasia immanente dell’uomo di chiesa, che ha coscienza di rinnegare sé stesso, e lo fa per disciplina, o l’abbandono di una disciplina ecclesiastica divenuta odiosa e troppo contraria alla Verità di Dio! Mentre la Controriforma ci lascia in perfetta tranquillità spirituale, sottomessi al Magistero infallibile della Chiesa, e a tutta la sua venerabile tradizione, ma affrancati in rapporto a tutte le stravaganze e i tetri disordini di dieci anni di Concilio. Che non hanno peso, per noi, di fronte ai diciannove secoli di verità, d’ordine e di santità.
Inoltre, la Controriforma, ovunque si afferma integrale, è in posizione di forza nei confronti dei suoi avversari. Dove l’integrismo conciliare è sempre battuto, l’idea della controriforma avanza e prepara la liberazione della Chiesa, dalle bande dei modernisti accampati nel suo santuario. Costoro si prevalgono del Vaticano II e ne saranno scacciati con lui. Quindi «ho detto al mio Vescovo: Lo Spirito del Vaticano II? No, Monsignore, non lo conosco, non voglio conoscerlo. Conosco solo lo Spirito Santo. "Dal momento che rifiuto qualsiasi altro Spirito stesso della Chiesa secolare, di prima del Concilio, la pretesa Nuova Pentecoste del Vaticano II e il suo Spirito transcristiano rientrano nel loro nulla. Tolto questo, sono figlio sottomesso del mio Vescovo e del Sovrano Pontefice in tutto l’essenziale della fede.
Oggi, mi sembra che tutta la Chiesa si avvicini alla sua Via di Damasco. Invece d’imporre il Concilio Vaticano II come il bene e la legge suprema, i migliori – e il loro esempio è contagioso – giungono a protestare contro questi effetti del Concilio e poi contro la loro causa che è il Concilio stesso. Bisognerà chiudere questa parentesi, così breve, per riprendere la grande marcia della Chiesa attraverso i secoli.
Resta da implorare Dio che dia ancora un avvenire alla Sua Chiesa. Resta da volgersi verso il Papa della Restaurazione cattolica e verso il Concilio Vaticano III della riconciliazione dei cristiani, òhe spazzeranno via tante follie, ristabiliranno nella Chiesa la pace, l’unione, l’orgoglio di essere discepoli di Gesù Cristo solo, per la vita e per l’eternità.
Perché la Chiesa durerà sempre!
La parola al Padre de Nantes. Non occorre ve lo presenti. Ricorderò fra i suoi titoli il solo di cui sia orgogliosissimo, quello che soprattutto ce lo fa amare e stimare: il Padre de Nantes è prete, vero prete di Gesù Cristo. Ho qui sotto gli occhi la sua carta d’identità sacerdotale che lo dichiara – in latino – degno di celebrare il Santo Sacrificio della Messa, di ascoltare le confessioni, di amministrare i sacramenti ovunque, salvo decisione contraria del Vescovo del luogo, e questo Celebret è firmato dal Vescovo di Grenoble, da cui il Padre de Nantes dipende, Monsignor Matagrin, al presente delegato dal nostro episcopato al Sinodo di Roma.
Il Padre de Nantes ci parlerà del Terzo Concilio Vaticano, avvenire della Chiesa!