Parte prima

RIAPRIRE IL FASCICOLO DEL VATICANO II

di fratel Bruno Bonnet-Eymard

LA Riforma della Chiesa alla quale assistiamo è cosa novissima nella storia millenaria della nostra religione cristiana. Non ha dieci anni. Ricordiamo alcune date. Pio XII è morto il 9 Ottobre 1958. Papa Giovanni XXIII, che successe a lui, annunciò prestissimo, fino dal 25 Gennaio 1959, la convocazione di un Concilio, come decisione che gli era ispirata dall’alto. L’annuncio sorprese tutti. L’ultimo Concilio datava dal 1870 ed era stato brutalmente interrotto dalla presa di Roma compiuta dalle truppe italiane. Pio XI aveva pensato di riprenderlo e terminarlo nel 1922. E nuovamente vi aveva pensato nel 1950, Pio XII. L’uno come l’altro ne furono dissuasi dalle persone che li circondavano le quali temevano un’opposizione da quell’enorme parlamento, o almeno l’esibizione di spiacevoli divisioni. E vi avevano giudiziosamente rinunciato.

Quando l’11 Ottobre 1962, si aprì il concilio detto Vaticano II, i suoi scopi erano ancora indistinti. Si doveva far brillare agli occhi delle nazioni lo splendore dell’unità cattolica, ringiovanire il volto della Chiesa, riconciliarsi con gli altri cristiani, senza vincitori né vinti, aprirsi al mondo, al dialogo con l’uomo moderno... Tutto ciò, argomento di tanti bei discorsi, era vasto e vago. Quattro sessioni di due mesi ognuna, ricondussero i 2.400 vescovi del mondo a Roma. Il Papa Giovanni XXIII, morì dopo la prima sessione, il giorno seguente la pubblicazione della sua famosa enciclica Pacem in terris. Il cardinal’ Montini, regolarmente eletto dal Condave il 21 Giugno 1963, prese il nome di Paolo VI, ed espresse la sua risoluzione di condurre a termine il Concilio. Infatti, nella sua Enciclica Ecclesiam suam ne adottò le principali intenzioni (6 agosto ‘64) vegliò attentamente sullo svolgersi delle tre sessioni seguenti e ne presiedette la chiusura solenne l’8 Dicembre 1965.

Che cosa resta del Concilio?

Secondo l’antica maniera, classica, ma fuori moda sembra, per esaminare l’opera di un Concilio, valgono soltanto gli Atti promulgati. Il II Concilio Vaticano, XXII Conciilio ecumenico, ha promulgato sedici testi di autorità e lunghezza diversissime:

Tre Costituzioni dogmatiche, sulla Rivelazione, la Chiesa e la Liturgia.

Una Costituzione detta « pastorale », sulla « Chiesa nel mondo di oggi ».

Nove Decreti, sull’Episcopato, il sacerdozio, i seminari, il laicato, le Missioni, l’Ecumenismo, eccetera.

Tre Dichiarazioni, documenti di autorità minore, ma due dei quali erano, in realtà, d’importanza capitale, sulla Libertà religiosa, sulle Religioni non cristiane, e in particolare sugli Ebrei.

Mille pagine di testo nel volume pubblicato in Francia dalle Edizioni del Centurione, o cinque volumi più manfeggevodi nelle edizioni correnti. Il Papa Paolo VI si compiace nel dire che questo è il catechismo nuovo per il nostro tempo.

Ma secondo lo spirito che ha presieduto la discussione, l’elaborazione e la promulgazione di questi Atti, l’importante è l’evoluzione delle mentalità e delle strutture di cui gli Atti sono piuttosto punti di riferimento, pali indicatori votati a essere capiti e poi superati e dimenticati. Quel che conta, dunque, di là dagli Atti del Concilio, sono i suoi orientamenti. La nuova regola della fede si itroverà più nel movimento avviato dal Concilio die nei testi medesimi. Importante è quanto è stato an- nunciato, voluto, promesso anche in Nome del Signore. È quanto si fa dopo il Concilio, anziché quanto fu stabilito e fermato nei suoi testi. Donde questo tensione... dialettica ohe constatiamo al presente, fra i campioni degli ATTIdel Concilio e i campioni del suo SPIRITO, questi, riformatori futuristi non esitano davanti a nessuni sovversione, quelli, riformisti moderati, spesso pessimisti, di continuo sorpassati. Tutti si appellano al Concilio, ma lì si ferma il loro accordo. Ecco, per esempio, il Cardinale Daniélou e di fronte a lui, il Cardinale Suenens, riformisti nemici!

Riaprire il fascicolo del Vaticano II non può dunque significare uno studio fuori tempo degli Atti promulgati, ma vuol dire, come noi faremo stasera, ricercarne lo spirito delle prime manifestazioni, per seguirne lo sviluppo sino all’8 Dicembre 1965. Quel giorno, si disse, cominciava il vero Concilio. Le opere, i frutti del Conciilio si sarebbero poi palesati. Ma lo spirito già ne era fissato, lo spirito di riforma che durante dieci anni avrebbe dominato tutto e tutti nella Chiesa.

Il Concilio ha dato una mentalità diversa agli uomini della Chiesa. Quante volte ci è stato detto, per invitarci a cambiare ancfhe noi! Tocca a noi capire in che cosa consiste questa stupefacente conversione che ci è chiesta, anzi imposta, prima di risolverci ad accettarla.

1 - APERTURA DEL CONCILIO: AMBIGUO OTTIMISMO

La mentalità del Papa e della folla dei Vescovi all’apertura del Concilio è oggi del tutto dimenticata! Se ci atteniamo alle loro unanimi dichiarazioni, nel 1962, la Chiesa era in buone condizioni. Tutto, per quanto riguardava l’essenziale era altamente soddisfacente: la fede intatta, nessun errore la minacciava; la vitalità della Chiesa eccellente; la sua unità, la sua pace, la sua irradiazione nel mondo erano certe. È quel che dice Giovanni XXIII nel suo discorso dell’11 Ottobre, biasimando categoricamente « i profeti di sventura », e Paolo VI lo ripeterà con vibrante eloquenza all’apertura della seconda sessione, nel primo grande discorso del suo Pontificato.

Perché allora il Concilio? Non per fare opera dogmatica, non per toccare l’essenziale della fede, della morale, delle istituzioni, tutto ciò è perfetto e non occorre cambiarlo. Ma per far brillare di nuovo e attraente splendore quei valori sicuri, un poco velati e attenuati dalle consuetudini e dalla polvere del tempo. Si ringiovanirebbe il volto della Chiesa, senza toccare beninteso, la sua anima. Sarebbe l’Aggiornamento. Così i cristiani separati di Oriente e di Occidènte, si accosterebbero, entrerebbero nel dialogo, senza nulla abbandonare dei nostri dogmi né della nostra disciplina. Infine, sicura della sua verità, la Chiesa indicherebbe agli uomini le vere soluzioni dei problemi di giustizia e di pace ohe oggi li tormentano.

Insomma, all’inizio del Concilio si trattava soltanto di raccogliere, per una gestione migliore e un’adatta propaganda, i frutti della eccezionale vitalità e della incomparabile verità della Chiesa. Ecco quanto fu annunciato come certo, in virtù di un robusto ottimismo e quasi per una illuminazione superiore. Visti i « Segni dei tempi », visto il nuovo stato d’animo dell’umanità in quest’ora della storia del mondo, si promise che il Concilio sarebbe stato una « Nuova Pentecoste », la quale avrebbe inaugurato una meravigliosa « Primavera della Chiesa ».

Tutto andava dunque tanto bene alla morte di Pio XII? Il Papa, i Vescovi, i teologi esperti sapevano tutte le contraddizioni sofferte da Pio XII, la sua reazione del 1950 con l’Enciclica Humani Generis, le sue sanzioni contro un nuovo Modernismo e un progressismo divenuto virulento dopo la « Liberazione » del 1944. Allora, nel rileggere tante dichiarazioni d’ottimismo, scusatemi l’espressione un po’ forte, nel ritrovare una tale autosoddisfazione, iniziandosi l’autodistruzione della Chiesa, si leva la domanda: i promotori della riforma conciliare erano ingenui o perfidi? sinceri o ipocriti? Parliamo chiaramente: conoscevano l’ampiezza degli errori e dei disordini che già mettevano la Chiesa in. pericolo? Li giudicavano dunque così poco gravi e inoffensivi? O al contrario, li ritenevano raccomandabili e salutari? Vedevano in Freud, in Marx, in Teilhard che invadevano il mondo ecclesiastico, segni di progresso per la fede e per il rinnovamento della pietà cristiana? Impossibile un taglio netto. Già, l’11 Ottobre 1962, siamo nell’equivoco, nell’ambiguità. L’ottimismo bonario di Giovanni XXIII è, indubbiamente, cieco. Non gli piacciono le novità, ma ne valuta male i danni. Altri, vicino a lui, conoscono molto mèglio la virulenza delle idee nuove e dei progetti di riforma già largamente messi in opera soprattutto in Europa, ma pongono senza dubbio la loro fiducia nel trionfo di quelle idee, e della fazione sino ad allora tenuta in sospetto. Forse, loro stessi vi appartengono!

Tutto va bene, nella Chiesa di Pio XII, pensano gli uni. Tutto andrà meglio nella Chiesa sbarazzata da Pio XII e alla fine consegnata a coloro che egli ha esclusi, pensano gli altri. L’11 Ottobre l’unanimità è solo un’apparenza. Fin dal giorno dopo comincerà la lotta della fazione modernista per impossessarsi del potere nel Concilio... Per i lucidi partigiani delle idee nuove fu facile manovrare una massa di padri tranquilli che non credevano alla potenza del male... e del Maligno.

2 - LO SCAMBIO DECISIVO PER L’ORIENTAMENTO PASTORALE

Assicurato l’essenziale e giudicato intangibile da tutti, con giuramento, il Concilio si sarebbe occupato, per riformarli, dei particolari, del mutevole, dell’incidentale. Non avrebbe definito alcun dogma, né condannato errori, ma avrebbe cercato un nuovo linguaggio che potesse venire accettato e compreso dall’uomo moderno. Il « messaggio » è nel suo fondamento, immutabile, ma il Concilio ne cercherà nuove forme per introdurlo nel mondo delia scienza e della tecnica, di Marx e di Freud. Il Concilio non avrebbe cambiato nulla nei Comandamenti di Dio e della Chiesa, non gli sarebbe spettato nemmeno di ricordarli e di insistere sulla loro pratica, né di parlare delle virtù e del peccato, della vita eterna e della dannazione. Avrebbe piuttosto tentato di affiatarsi con l’uomo che li trasgredisce per cercare con lui il mezzo di rendergli accettabile e praticabile la morale cristiana. Le istituzioni della Chiesa non sarebbero state attaccate, ma il Concilio sarebbe andato incontro agli uomini che sono lontani, che sono fuori, di là dalle strutture giuridiche, di quel ghetto cattolico ed ecclesiastico, per tentare di raggiungerli nella loro stessa vita, in piena libertà « evangelica ».

(Notiamo, per quelli che capiscono, che questa è tutta la teoria e tutto il programma dell’Azione Cattolica degli anni ‘30, divenuti a un tratto propri della Chiesa universale!).

Conseguenza. Fermo restando e fuori di contestazione, quanto è propriamente divino nel Cattolicesimo, quel che viene da Dio e che è per Iddio, tutto l’essenziale è messo tra parentesi. Nessuno oserebbe dubitarne, tanto meno negarlo o contestarlo apertamente. Dunque, non ci se ne occuperà per il momento. Il Concilio, libero dalla preoccupazione dell’essenziale, si occuperà dell’uomo moderno, del mondo presente, di ciò che da lui viene; le sue domande, le sue esigenze, le sue aspirazioni, e di ciò che gli spetta, di ciò che è per lui; il riconoscimento della sua dignità e dei suoi diritti, il dialogo con lui, la ricerca del suo coronamento è della sua riuscita sulla terra. La Chiesa vuole mettersi al suo servizio.

Lo stabilire un secondo polo nella nostra religione, questo antropocentrismo, quando il teocentrismo era provvisoriamente messo da parte, suscitò un impeto irresistibile e universale. Praticamente, il Concilio fu invitato a mettete sempre avanti la preoccupazione dell’uomo invece della sottomissione a Dio e, per esempio, il desiderio di non dispiacere agli osservatori noncattolici, compresi i due ortodossi moscoviti – l’occhio di Mosca! – anziché quello di dispiacere a Dio... e ai suoi integristi! L’entusiasmo si volgerà piuttosto alla costruzione del mondo in collaborazione con tutti gli uomini, che alla conservazione della religione, della sua Chiesa e dei suoi fedeli. È quanto il padre Schillebeeckx chiamerà « ortoprassia », che in quel momento passò avanti all’ortodossia ».

Ma questa opzione conciliare, da pratica che era si farà insensibilmente teorica. La Riforma « pastorale » doveva unire la preoccupazione umanista e mondana alla preoccupazione prima del culto di Dio e della salvezza eterna. Aggiungere e non sostituire il culto dell’uomo al culto di Dio. Infatti, inesorabilmente, sotto la spinta di un partito estremista che sapeva quel ohe voleva, la Riforma pastorale si farà a poco a poco dottrinale. In tutte le questioni, i partigiani della novità, del cambiamento saranno in vantaggio sui difensori dell’ordine tradizionale e sui campioni dell’immobilismo. Questa era la Riforma alla quale l’orientamento « pastorale » del Concilio dava libero avvio. Era una rivoluzione che non osava dire il suo nome.

L’orgoglio doveva fare il resto. Il Padre de Nantes ha spesso formulato, riferendosi al Concilio, il dilemma seguente, che non ha mai ricevuto una risposta valida. O il Concilio si è accantonato nel campo delle cose accessorie e mutevoli, e allora è il minore di tutti i Concili. Oppure, come si dice, e come ci è imposto di credere, è un grande Concilio, il più grande di tutti i tempi, che apre un’epoca nuova; ma in questo caso ha riformato l’essenziale, ha rinnovato quel che prima di lui si credeva immutabile... Altrimenti, non ha fatto nulla! Travolti dall’immensa vanità collettiva eli essere un grandissimo Concilio, i Padri hanno infine sostituito una nuova « pastorale » antropocentrica alla religione teocentrica di sempre. Non vi sono state novità grandiose che a prezzo di questo mutamento.

Qui trova posto un’altra domanda. Quanti Padri conciliari hanno creduto veramente, hanno continuato a credere e credono ancora oggi, che la nuova Pastorale è venuta ad aggiungersi semplicemente alla Religione Cattolica immutata? Certamente, una maggioranza schiacciante. Quanti hanno saputo e voluto che, col pretesto dell’adattamento, il Cattolicésimo antico cominci a decomporsi e una nuova fede, una nuova morale, una nuova comunione cristiana escano da questo autentico mutamento? Un numero infimo tra loro. Hanno dunque fatto quel che non volevano fare, tutti quei Vescovi che al seguito di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, sognavano soltanto di portare un felice perfezionamento all’antica religione cattolica, come forse l’Antico Testamento aveva trovato il suo coronamento nel Nuovo.

3 - VITTORIA DELL’AMBIGUITÀ’ NEI TESTI DI COMPROMESSO

Se Roma, vale a dire la Curia, attaccatissima alla tradizione romana, avesse serbato l’effettiva direzione del Concilio, il dibattito sarebbe avvenuto su testi preparati in precedenza, che avrebbero conservato la sostanza della fede e della legge cattoliche. Novità apologetiche e pastorali, anche ecumeniche, desiderabili e augurabili, avrebbero potuto esservi aggiunte. Sui dogmi antichi, la Chiesa conciliare avrebbe fatto versi nuovi. Finalmente!

Ma, fin dalla prima sessione, il Potere reale fu preso, legalmente o no, bisognerebbe vedere, dai Novatori che fecero ammettere, anche contro la maggioranza – oh democrazia! – i loro schemi, in cui l’audacia, l’insolito, il paradossale, il mondano primeggiavano sotto il pretesto di pastorale biblica, ecumenica, moderna. Questa confisca dell’Assemblea ancora incerta alla fine della prima sessione, fu definitiva all’ tempo della famosa « Rivoluzione d’Ottobre » che segnò la seconda sessione, nel 1963. La novità si impose allora contro la Tradizione; le esigenze degli Altri, del Mondo, presero il sopravvento sui diritti di Dio, della Chiesa, delle masse dei fedeli cattolici. Fu, per parlare in linguaggio marxista, una vera « alienazione » della Chiesa.

Tutto ciò andava troppo in fretta, e si spingeva troppo lontano per non provocare una frattura. Qualcuno lo sentì, e seppe prevedere in quale impossibilità di promulgare un qualsiasi testo si sarebbe presto trovato il Concilio. Tutti sarebbero stati bloccati dal partito integrista che avrebbe avuto facile giuoco nel notarvi l’eresia. Sarebbe caduto l’equivoco, l’unanimità conciliare sarebbe andata in pezzi. Mai la Riforma avrebbe potuto essere stabilita attraverso un voto maggioritario, fuori dai quadri della fede cattolica. Si correva verso il fallimento definitivo. Bisognava dunque frenare lo slancio, contenere l’audacia dei riformatori. Paolo VI, perché fu lui, cominciò, durante la terza sessione, a frenare il movimento, e anche a resistergli. Impose alcune correzioni, che l’ortodossia esigeva, sugli schemi più audaci.

Sarà questa la seconda stazione, la « lunga notte » del Concilio, per parlare come Fesquet, Congar e Laurentin. In quell’epoca, gli integristi saranno meglio ascoltati; ritroveranno una qualche libertà di parola, e anche un qualche potere per gli emendamenti e le attenuazioni delle audacie che i Riformisti avevano inserite nei testi in discussione.

Vi saranno alcuni modernisti che grideranno al tradimento del Papa, altri integristi applaudiranno alla conversione! Gli astuti capiranno presto che tutta l’azione di lui mirava, in quel momen- to, a salvare la Riforma dei Novatori, e quindi il prestigio del Concilio, manovrando per ricomporre l’uanimità, fosse pure su testi di compromesso, e a colpi di equivoci a lungo calcolati. Coi suoi emendamenti reazionari, Paolo VI riconciliava la minoranza integrista con testi in sostanza modernisti e virtualmente eretici. Il Papa salvò il movimento che da allora potè riprendere la sua corsa accellerata. L’unanimità si volse in abitudine e durante la quarta e l’ultima sessione furono votati testi incredibili, quale il famoso Gaudium et Spes del cardinale Garrone e del defunto Monsignor Haubtmann. Si sarebbe firmata qualsiasi cosa, tutti insieme. Al dire dei giudici migliori, e di tutti i partiti, era tempo di farla finita.

4 - UN CONCILIO DA RIFARE: LA LETTERA E LO SPIRITO

Vi ricordate ancora la chiusura del Concilio, il 7 e il 8 Dicembre 1965? A Roma c’era l’euforia di una immensa distribuzione di premi. Maritain era il grande premiato, Congar e de Lubac anche. Il Papa annunciava il trionfale successo della Riforma e proclamava infine nella Chiesa il culto dell’uomo. Un tale sentimento di vittoria non fu risentito da per tutto. Tanto a destra, quanto a sinistra, si sentiva confusamente che l’equivoco non era dissipato.

Quella unanimità era una lustra. In termini giuridici si può dire che gli Atti del Concilio non hanno che un « titolo specioso », in gergo si direbbe: questa unanimità non è che una bidonata! Gli uni hanno votato sì, a quanto era innovatore nel testo. Gli altri hanno votato sì, per via delle restrizioni, riserve incorporate, come troppo evidenti riempitivi, in quegli Atti per salvarne il carattere cattolico! E la massa dei Vescovi ha tutto accettato sotto la garanzia, per loro sufficiente, della volontà del Papa.

Ma lo scivolamento della Riforma comincerà fin dal giorno dopo. Si capisce in quale senso. Gli integristi sono stati condotti dal giuoco audace e sconcertante di Paolo VI ad accettare la Nuova Riforma, rassicurati, grazie alle correzioni aggiunte ai Testi e ora fissate negli Atti del Concilio! Ma i Modernisti, essendo riusciti a far passare all’unanimità le loro idee fondamentali, potranno sfruttare facilmente questo risultato valendosi dell’accordo generale per lasciar cadere nella dimenticanza i blocchi erratici del residuo integrismo, che avevano funzione soltanto provvisòria e tattica. Per loro, quél che conta, non sono gli Atti fissati, ma la dinamica dello Spirito. Questa cancella già tutti gli elementi ritardatari... La Nota Praevia che doveva correggere il testo sulla Collegialità. L’Introduzione contraddittoria alla Dichiarazione sulla Libertà religiosa. Le correzioni portate, per mano stessa del Papa al Decreto sull’ecumenismo, eccetera, tutto verrà presto trascurato, rifiutato come concessioni tattiche fatte alla minoranza perché firmasse, ma respinte adesso come ostacoli al movimento conciliare.

Il Vaticano il si è concluso in un'apparente comunione collegiale, ma di fatto in una reale confusione da Torre di Babele. Lo Spirito del Concilio era ancora lo Spirito Santo? Si può, si deve dubitarne, perché ifrutti dello Spirito Santo sono noti : la fede, la carità, l'unanimità cristiana, la libertà deI bene, la pietà. Mentre, l'8 Dicembre 1965, comincia l'autodemolizione della Chiesa...

Tuttavia, non v'era nel vasto monda nessun movimento d'opposizione al Concilio e alla sua Riforma. Di oppositori dichiarati non ne conosco che uno solo, è qui, su questa tribuna. Tutti, da Marcel Clément a Mandouze, da Pierre Debray a Montaron professavano allora che quelIa Riforma era da Dio, una nuova Pentecoste che apriva una meravigliosa primavera della Chiesa. La massa dei vescovi, dei preti, dei fedeli, l'accetta da allora ciecamente, immaginando che le idee, le prospettive, gli orientamenti pastorali del Concilio in tutte le sue future creazioni, verranno a unirsi all’antica religione per ottenerle un trionfo inaudito nel mondo moderno... Ma da quel momento, il nocciolo dei Novatori, invece di andare in vacanza, si incrosta nei Segretariati e nelle Commissioni postconciliare. Vi comincia un immenso, un enorme lavoro: quello di sostituire progressivamente la intera novità conciliare all’ordine antico, in tutti i campi. Rimodelleranno il volto della Chiesa. Sarà la grande muta della Chiesa nel XX Secolo, come osano finalmente dire e scrivere.

Da allora, tutte le discussioni (accademiche!) che occupano l’opinione pubblica opporranno il riformismo conciliare (buono) al riformismo violento (cattivo). L’uno si attiene al Vaticano II, l’altro va oltre e pretende continuarlo nel senso stesso dei suoi orientamenti. Questo si appella allo SPIRITO del Vaticano II, quello alla sua LETTERA. Ma tutti respingono nelle tenebre esteriori coloro che non accettano questa Riforma e vogliono deliberatamente ignorarla, rifiutano loro la parola e ogni potere, anche in piccola misura. Tale il Patto infrangibile che salda il mondo ecclesiastico dòpo il Concilio: l’unico dovere è accettare la Riforma. Tutto il Vaticano II, discorsi e Atti, slogans e promulgazioni solenni, Concilio, paraconcilio... tutto è racchiuso nella professione di questa necessità prima e dell’incomparabile beneficio di una Riforma illimitata. Dopo di che, l’unanimità si discioglie!

Come può un Concilio imporre più della Scrittura e della Tradizione di Fonte divina che parlano chiaro, loro, imporre una Riforma che non si sa di dove venga, né dove porti? No, tali tenebre non sono da Dio!