Finalmente! La tanto attesa risposta di Roma, mediante un questionario della Congregazione per la Dottrina della Fede
Il 23 aprile 2019, festa di san Giorgio, fra Bruno di Gesu – Maria ha ricevuto la seguente lettera datata 15 aprile 2019, pubblicata dopo nella rivista “Egi é risorto” N° 200, di Luglio-agosto 2019, con la risposta della Communità :
Georges Pontier
Arcivescovo di Marsiglia
Marsiglia, 15 aprile 2019
Al signor Bruno Bonnet-Eymard
Responsabile del Movimento
“Contro-Riforma Cattolica”
Signore,
Con una lettera aperta datata 19 novembre 2012 rivolta a mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes, in risposta a un tentativo di riconciliare il suo movimento con la Chiesa Cattolica, lei pone condizioni previe a questa riconciliazione.
Vi cito: «Se noi siamo ben decisi a non separarci mai dalla Chiesa, non possiamo più accettare ciò che ci sembra eretico. Ogni passo verso la riconciliazione, quindi, ha come premessa il giudizio dottrinale. Infatti, se le dimostrazioni teologiche del padre de Nantes comportano la nostra adesione ragionata e irriducibile, noi non le riteniamo infallibili, come egli stesso non le riteneva. E’ per questa ragione che la nostra fede cattolica e i nostri diritti di battezzati ci fanno reclamare un giudizio sui punti precisi che noi contestiamo riguardo le novità conciliari».
La Congregazione per la Dottrina della Fede mi ha fatto sapere che l’unica premessa da considerare era quella della vostra adesione alla Chiesa e al suo Magistero, in particolare al Concilio Vaticano II, come pure l’ecclesialità del funzionamento del vostro movimento.
Data la presenza del vostro movimento in un certo numero di diocesi francesi, nella mia qualità di Presidente della Conferenza dei Vescovi di Francia, ho quindi l’incarico di comunicarvi – lo faccio nel testo allegato – il questionario della Congregazione della Dottrina della Fede, rivolto ad ogni membro della CRC, chiamato a rispondervi individualmente. Non avendo io la distinta di questi membri, conto sulla vostra lealtà per trasmetterlo a ciascuno di loro e di permettere a ciascuno di loro di rispondervi. Incarico mons. Yves Patenôtre, arcivescovo emerito di Sens-Auxerre, di raccogliere le risposte individuali, che bisogna fargli arrivare al seguente indirizzo:
Mons. Yves Patenôtre,
3 rue du Cloître Saint-Etienne,
F - 10000 Troyes
[email protected]
Chiedo che ciascuno provveda a rispondere non oltre il lunedì di Pentecoste, 13 giugno 2019, augurando a tutti la luce dello Spirito Santo. Sappiate che, in caso di rifiuto, saranno emanate le censure canoniche adeguate, ai termini del canone 1347:
- 1 «Una censura può essere inflitta validamente, a meno che il colpevole non sia prima stato avvertito almeno una volta a porre fine alla sua contumacia, e non gli sia stato concesso un tempo conveniente per tornare a resipiscenza.»
- 2 «Bisogna considerare come avente posto fine alla sua contumacia quel colpevole che si sarà realmente pentito del suo delitto e che, inoltre, abbia riparato, in modo appropriato, i danni e lo scandalo, oppure che, almeno, avrà seriamente promesso di farlo.»
Che lo Spirito Santo, spirito di Pentecoste, v’illumini.
Georges Pontier
Arcivescovo di Marsiglia
Presidente della Conferenza dei vescovi di Francia
* *
Questionario da sottoporre alla comunità della Contro-Riforme Cattolica
Sulla dottrina e la fede cattolica:
1, Professate voi la fede cattolica, com’è professata nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano e nell’insieme dei Concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica?
2, Riconoscete voi l’autorità dogmatica e magisteriale del secondo Concilio del Vaticano, in particolare la sua dottrina sulla Chiesa, la divina Rivelazione, la liturgia e la libertà religiosa?
3, Riconoscete voi la legittima e ininterrotta autorità del Magistero dei papi, successori dell’apostolo Pietro?
4, Riconoscete voi il Magistero ordinario e l’autorità del vescovo dal quale dipendete?
Sulla organizzazione della comunità:
5, Quali sono gli statuti o i testi regolatori della vita della vostra comunità? Siete voi disposti a farceli conoscere e, nel caso, a lavorare alla loro evoluzione, se la legittima autorità ecclesiastica giudica opportuno di farlo?
* *
Ecco la nostra risposta
Gesù! Maria! Giuseppe!
A mons. Yves Patenôtre
Per le mani di mons. Marc Stenger,
vescovo di Troyes
3, rue du Cloître Saint-Etienne,
10000 Troyes
Saint-Parres-lès-Vaudes, 13 giugno 2019
Seconda apparizione della Madonna a Fatima
Eccellenza,
Ho l’onore di accusare ricezione della lettera, datata 15 aprile 2019, di mons. Georges Pontier, lettera con la quale l’arcivescovo di Marsiglia mi ha trasmesso un questionario di cinque domande da sottomettere personalmente a ciascuno dei 120 religiosi che mi riconoscono come superiore generale delle Comunità dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle del Sacro Cuore, fondate dal padre Georges de Nantes, al quale ho succeduto. Preciso tuttavia che il vero Generale e Protettrice del nostro ordine è la Santissima Vergine Maria, dal momento in cui il nostro padre fondatore Le ha “passato le consegne”, durante la festa della Immacolata Concezione nell’anno di grazia 1997. Mons. Pontier augura a ciascuno di noi la luce dello Spirito Santo; è dunque in Maria, ricettacolo del Santo Spirito, che confidiamo affinché, nello scriverle, siano mantenute le virtù della fede, della speranza e della carità.
Premetto tre osservazioni alle mie risposte al questionario.
Prima osservazione. Mons. Pontier tace su un nome ineludibile: quello del padre Georges de Nantes, ben conosciuto particolarmente per aver pubblicamente commentato e criticato i testi del secondo Concilio del Vaticano fin dal momento delle loro discussioni e approvazioni. Noi, suoi figli spirituali, intendiamo restargli fedeli ed è partendo dalla sua opera immensa, che non è mai stata colpita da censura dottrinale, che formuleremo le risposte al questionario che ci è stato imposto.
Seconda osservazione. Successivamente a un incontro che ebbi con lui qualche giorno prima del suo vescovato, indirizzai a mons. Stenger, il 29 settembre 2012, una lettera non aperta ma personale. Poi sono passati sei anni, senza che una minima notizia mi sia stata data riguardo la mia richiesta. Ecco che oggi ricevo una risposta da mons. Pontier. Certamente, le case delle nostre comunità risiedono in più diocesi, egli mi scrive in qualità di presidente della conferenza dei vescovi francesi. Ma questo suo mandato elettorale, oltretutto sul punto di scadere, è sufficiente per affidare all’arcivescovo di Marsiglia la giurisdizione dell’insieme dei territori delle diocesi francesi (e canadesi), per imporre a persone, delle quali vuole ignorare lo stato religioso, a rispondere a una serie di cinque domande, con una scadenza imperativa di due mesi, sotto pena di sanzioni canoniche? Io rispondo al questionario, ma faccio passare la mia lettera alla sua attenzione mediante mons. Stenger, vescovo di Troyes, dalla cui autorità noi riconosciamo di dipendere.
Terza osservazione. Le domande che ci sono state rivolte sono presentate in modo molto semplice, ma le risposte sono difficili perché, per essere esatte secondo le regole dell’esercizio del potere insegnante della Chiesa, bisogna fare alcune distinzioni, almeno per le quattro prime domande. Glielo scrivo, non per ottenere anch’io un simile ritardo di tempo (sei anni!) per riflettere, ma per spiegarle perché i religiosi della mia comunità – i quali hanno personalmente preso conoscenza della lettera di mons. Pontier e del questionario – mi chiedono di presentare le risposte a loro nome, volendo così testimoniare una unità tutta soprannaturale che regna tra noi su argomenti ai quali abbiamo consacrato interamente le nostre vite.
Prima domanda:
“Professate voi la fede cattolica, com’è professata nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano e nell’insieme dei Concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica?”
Col pretesto di professare la fede cattolica – o, peggio, in nome di quella fede cattolica senza la quale nessuno può essere salvato – l’autore di questa domanda assimila forzatamente, ma senza dirlo, il Concilio di Nicea al Concilio Vaticano II, chiamando surrettiziamente l’autorità di quello per proteggere l’ortodossia di questo. Ma poi, perché mai questo riferimento al Simbolo “niceno-cosatantinopolitano”? L’autore della domanda teme seriamente che noi poniamo in dubbio il dogma della consustanzialità delle divine Persone? Oppure si preoccupa di rispettare la suscettibilità dei nostri “fratelli” scismatici orientali?
Tutto ciò non è molto serio… né molto leale, ma non ci scoraggia dal rispondere serissimamente a questa domanda, come d’altronde a tutte le altre.
Sì: noi professiamo la fede cattolica, com’è stata insegnata nel Simbolo della fede di Nicea e nell’insieme dei Concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica… ma con due riserve principali.
Dopo duemila anni di storia, forse che la fede cattolica insegnata dalla Chiesa si riduce al Simbolo niceno e ai Concili ecumenici, come l’autore del questionario vorrebbe far credere? Evidentemente no.
Col nostro fondatore, il padre de Nantes, riguardo la fede cattolica, noi professiamo che agli uomini, oggetto della sua misericordia, Dio ha rivelato i suoi misteri e tutte le verità necessarie alla loro salvezza, principalmente mediante suo Figlio Gesù Cristo. Gli Apostoli si sono limitati a trasmettere, per personale inspirazione, la pienezza di questa Rivelazione alla Chiesa, sotto forma orale (le Tradizioni) o scritta (le Sacre Scritture). Il loro insieme costituisce il Deposito della fede. Noi abbiamo accesso alla conoscenza di questi misteri mediante l’insegnamento della Chiesa, la quale ci comunica, interpreta e spiega infallibilmente questa divina Rivelazione. Le Scritture e la Tradizione sono le fonti della nostra fede, l’insegnamento della Chiesa è il canale che ci trasmette la dottrina – in maniera ordinaria, spontanea, vivente, con un’ammirevole coerenza – mediante la liturgia e la catechesi. Un certo numero di verità sono state precisate, definite, imposte in modo straordinario o solenne, a causa della loro importanza o della loro contestazione da parte degli eretici: sono quei dogmi che costituiscono l’inattaccabile armatura della dottrina rivelata.
Questa nostra professione di fede cattolica contiene in germe le risposte alle altre domande del questionario che ci è stato imposto.
Forse che il Concilio Vaticano II ha enunciato un insegnamento dogmatico, senza il quale un figlio della Chiesa non può pretendere di confessare la fede cattolica, come fu enunciato dai precedenti Concilî ecumenici e in particolare dal Simbolo niceno?
Nonostante le flagranti irregolarità che sembrano aver notevolmente macchiato le procedure di voto e di promulgazione di vari suoi testi, il padre Georges de Nantes, e noi al suo seguito, riconosciamo il Vaticano II come vero e legittimo Concilio ecumenico della Santa Chiesa Romana; ne ha tutti i segni canonici, forse più di alcun altro Concilio dopo il primo, quello di Gerusalemme. Il ruolo del papa vi fu notevole, conferendogli piena autorità. I vescovi non sono mai stati riuniti così numerosi e provenienti da quasi tutto il mondo. Esso si è riunito e svolto senz’alcuna ingerenza secolare. Nessuno l’ha contestato, sembra essere stato riconosciuto da tutti. Noi quindi riconosciamo la piena legittimità canonica del secondo Concilio Vaticano, ventunesimo Concilio ecumenico, il maggiore di tutti i Concilî.
Ma, solo per questo, esso avrebbe enunciato un insegnamento dogmatico? E’ impossibile rispondere a questo dubbio, senza dare le ragioni che presiedono alla risposta della seconda domanda del questionario.
Seconda domanda:
“Riconoscete voi l’autorità dogmatica e magisteriale del secondo Concilio del Vaticano, in particolare la sua dottrina sulla Chiesa, la divina Rivelazione, la liturgia e la libertà religiosa?”
Ci pronunceremo sull’autorità magisteriale da attribuire agli Atti del secondo concilio del Vaticano (§ V) solo dopo aver brevemente esaminato l’analisi fatta dal padre de Nantes, in qualità di teologo privato, concernente la dottrina conciliare sulla divina Rivelazione (§ I), la liturgia (§ II), la Chiesa (§ III) e la libertà religiosa (§ IV).
I: Sulla divina Rivelazione
Noi crediamo con piena certezza che il Figlio di Dio fatto Uomo, durante la sua vita terrena, ha rivelato ogni verità divina che al Padre è piaciuto di farci conoscere per salvarci, portando così alla pienezza, una volta per tutte, le conoscenze sui divini misteri che gli uomini devono avere. Gli Apostoli hanno visto e udito questa divina Parola sussistente e unica. Inspirati in modo specialissimo dallo Spirito Santo a questo scopo, essi hanno poi insegnato e fissato con linguaggio umano tutta questa vita e questa dottrina, questi fatti divini e storici e queste rivelazioni spirituali che costituiscono le fonti e i fondamenti sacri della nostra religione.
In questo modo, mediante la Chiesa, noi abbiamo accesso alla Tradizione apostolica, nella quale ascoltiamo e leggiamo la Parola di Dio, senz’altro velo che quello della fede. L’opera stessa della Chiesa è consistita in una continua e fedele “trasmissione” di questa Rivelazione alle generazioni successive. La Chiesa ha compiuto questa missione traducendo le parole originarie usando le lingue umane, condannando con precisione le false interpretazioni o evoluzioni, che apparivano qua e là, definendo e riunendo in un corpus dottrinale ciò che la Tradizione apostolica insegnava in maniera divina, indubbiamente più perfetta ma meno adatta a noi. I dogmi, il culto liturgico, i Simboli della fede e più semplicemente il nostro catechismo sono quindi le opere della Tradizione ecclesiastica, nella quale noi ritroviamo fedelmente e comodamente l’autentica Rivelazione divina. La Chiesa ha fatto un buon lavoro, sotto l’autorità piena di sollecitudine dei Pastori e ricorrendo frequentemente alla loro infallibilità.
E’ lo Spirito Santo che garantisce questo zelante e attento lavoro fatto dai servitori della Parola di Dio. «Tra la Chiesa di Gesù Cristo, la Tradizione ecclesiastica e la Rivelazione, non bisogna sollevare problemi: è un tutt’uno», disse santa Giovanna d’Arco ai suoi giudici di Rouen. E’ da questo insegnamento totale, mediante le sue formule e i suoi riti, che il cattolico, mediante la fede, attinge il mistero stesso di Dio e si unisce al suo Salvatore. Noi possiamo leggere le Sacre Scritture, ricuperare gl’insegnamenti e le usanze della Chiesa primitiva, cosa che è consigliabile; ma noi vi ritroveremo sempre lo stesso insegnamento della Chiesa attuale, la stessa fede, la stessa verità. Nondimeno, rimane che quello più adatto a noi, il più sicuro, è evidentemente quello del catechismo, spiegato dal nostro buon parroco, in accordo con la Chiesa del mondo intero, nel riassumere o rievocare l’insegnamento di tutti i suoi predecessori.
Nessuna rivoluzione, nemmeno evoluzione, tantomeno alterazione è ammissibile per opera di una influenza esterna, nessun contributo straniero. Se la Chiesa sviluppa il proprio insegnamento, lo fa traendo dal proprio tesoro apostolico quelle “cose nuove” che sono in armonia con quelle antiche, senza rinnegare né cambiare alcunché. Così facendo, il deposito apostolico appare meglio conosciuto e l’insegnamento nuovo si rivela luminosamente tratto dalla Tradizione. Nulla quindi di nebuloso, di fantasioso, di “profetico” in questo Magistero; noi crediamo in esso proprio a causa di questa fedeltà e di questa chiarezza. Esso stesso afferma che nessun’altra rivelazione o illuminazione divina può contraddirlo. L’insegnamento della Chiesa s’identifica con la fede e questa con la trasmissione, mediante la Chiesa, della Parola di Dio ricevuta da Gesù Cristo e insegnata all’inizio dagli Apostoli. E’ netto.
Nonostante alcune ammirevoli formule, inserite in un testo appositamente elaborato in modo equivoco, la Costituzione conciliare Dei Verbum ha deformato intenzionalmente la dottrina classica sulla divina Rivelazione, allo scopo di liberarsi dall’imbarazzante dogma, in nome delle Scritture e dell’esperienza vitale dei cristiani moderni. Mediante una sorprendente esaltazione delle Scritture e una presentazione della “Parola di Dio”, attualmente pronunciata dagli ecclesiastici, come se fosse una presenza reale del Cristo vivente e operante, emancipata dalla tradizione ecclesiastica, la citata Costituzione ha sostituito l’insegnamento, fino ad allora fermo, della Chiesa con una inesistente Parola che sarebbe impersonata, strutturata e obiettivata nella nostra comune esperienza.
Di questa tesi, che proviene dall’illuminismo, ecco il risultato: una immensa e scandalosa confusione di linguaggio, la sostituzione di cento opinioni individuali all’unico Credo, lo sbriciolamento della fede. Di più: per comando di quella gerarchia che agisce in nome del Concilio, la liturgia e la catechesi sono state sistematicamente rinnovate in funzione di una nuova “educazione della fede” in senso informale e immanentista. Gli antichi rituali e catechismi sono stati rifiutati e banditi, proprio perché conservavano la fede romana nella sua forma immutabile.
II: Sulla liturgia
Dato che la Chiesa è una “persona mistica”, essendo il Corpo sociale di Cristo la cui Anima è lo Spirito Santo, tutto ciò ch’essa dice e fa è “sacerdotale”, ossia è mediatore della vita e della santità del Gesù Cristo “diffuso e comunicato”, come disse Bossuet. Questa funzione è distinta e necessariamente separata dalle altre attività umane […] Essa è dunque la vita essenziale dei cristiani di ogni razza e condizione, di tutti i tempi attraverso tutti i secoli, di generazione in generazione. Essa quindi definisce una regola sociale, cattolica e apostolica, unica e santa, manifestazione di una fede immutabile e opera di una Chiesa organizzatrice. Reciprocamente, la liturgia sacerdotale, penetrata nelle usanze del santo Popolo di Dio, nutre e conserva la fede, edifica e gerarchizza la Chiesa. “Lex orandi, lex credendi”. La vita soprannaturale procura il movimento della preghiera, ma il movimento allena la vita. Se la fede si spegne, se la Chiesa si dissolve, la prima a morire è la liturgia. Ma, all’inverso, se la liturgia si degrada, la Chiesa si disperde e la fede si estingue.
Fino al Concilio Vaticano II, la liturgia era ancora opera sacerdotale di Cristo e della Chiesa, opera più divina che umana, opera di predicazione, di sacrificio sacramentale e di lode divina, celebrata per il bene spirituale dei fedeli, ma con il loro concorso.
Dopo il Concilio, il più delle volte, la liturgia è diventata insipida creazione spontanea, conforme alle pretese estetiche, moderne, dell’uomo che rende culto a sé stesso. Incurante di piacere a Dio e di meritare le sue grazie, la liturgia post-conciliare è totalmente occupata nel piacere all’uomo, come se essa fosse un’opera d’arte, per meritare ch’egli se ne interessi e vi partecipi.
E’ per questo che il Concilio vaticano II, in sé stesso, non ha definito la liturgia dell’avvenire. Esso è stato una decisiva tappa nell’apertura della Chiesa alle novità. Questa tappa fu ben presto superata e si ammise che “l’obbedienza al Concilio” consisteva nel “superare” ciò ch’esso autorizzava e nello “sviluppare” ciò che conteneva in germe. Da oltre cinquant’anni, non esiste eresiarca che non si sia richiamato al Concilio per svolgere apertamente la propria opera, in piena impunità, specialmente nel campo liturgico, mediante le direttive, le licenze e la creatività inaugurate dalla riforma conciliare, più specialmente nello sconvolgere la Messa e nel sopprimere tutte le cerimonie e le devozioni del culto eucaristico.
Il vero problema non è il rito post-conciliare in sé. Noi non chiediamo che ci si conceda qualche cerimonia in latino, come scarto, e il diritto di fare tre genuflessioni in vece di una sola. Noi abbiamo sempre riconosciuto che la messa detta secondo il Novus Ordo del 1970 è valida.
No: per riconciliarsi tra noi, bisogna innanzitutto riconciliarsi con Dio, vendicando le ingiurie che gli vengono ufficialmente fatte nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue da teologi eretici e preti spergiuri.
Non si può più restare insensibili alla divina tristezza che sconvolse Francesco di Fatima, né alla pressante richiesta dell’Angelo del Portogallo nel 1916: «Mangiate e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati; riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio».
III: Sulla Chiesa
Noi professiamo che la società chiamata Chiesa è l’umano organismo, ossia strumento, creato mediante il quale Dio chiama tutti gli uomini alla salvezza e, se essi vi aderiscono per fede, dona a loro la giustificazione e la grazia per ottenere la vita eterna. La Chiesa quindi è il mezzo e il luogo della vera religione, dell’unione degli uomini con l’unico Dio. La Chiesa è una madre che, mediante la nuova Alleanza, genera i figli di Adamo alla grazia ritrovata. Essa è una famiglia nella quale, dopo il Cristo, si trasmette la vita divina di generazione in generazione. La Chiesa è umana e divina. Solo la divina Rivelazione ce la fa conoscere in due verità connesse e complementari. Innanzitutto, il mistero della Chiesa è quello di una società umana fondata da quel Figlio di Dio che ne rimane Capo supremo, sempre vivente e glorioso. Infatti Egli stesso la governa, con la collaborazione di una gerarchia che ha fondato e munito dei propri poteri divini e dei propri diritti. E’ per sua opera personale, poi per quella degli Apostoli e dei loro successori, che il Cristo crea e organizza la sua Chiesa come un Corpo sociale, vivente e vivificante, santo e perfetto. La gerarchia ne è la causa efficiente, causa creata, umana, storica e visibile.
Tuttavia, l’unione della Chiesa umana al suo Capo divino non è unione fisica, come nella Incarnazione, ma è morale. Essa suppone nella Chiesa una volontà santa, una energia divina, un principio di fedeltà che la tengono indefettibilmente unita al suo Capo; ossia suppone quell’“Anima increata” della Chiesa che è la Persona dello Spirito Santo, il quale le è stato inviato dal Padre e dal Figlio nel giorno della Pentecoste. Anima divina di questo Corpo unico e peculiare, il Paracleto ha una profonda affinità con questa Chiesa cattolica, e solo con questa.
Anche quando Egli sollecita tutti gli uomini alla Vita divina, lo fa in dipendenza e in vista della sua unica Chiesa. Questa opera dello Spirito Santo è la “causa formale” o il “principio organizzativo immanente” di quel Corpo sociale il cui Capo è il Cristo; vale a dire che la sua energia discende e si comunica gerarchicamente dal Capo alle membra, conformemente alla gerarchia di poteri istituita dal Cristo. Anche dove lo Spirito Santo agisce in piena libertà col dono dei “carismi”, non lo fa in contraddizione né in separazione con l’istituzione gerarchica e con la sua disciplina apostolica.
La Costituzione conciliare Lumen Gentium ha pervertito questa luminosa definizione cattolica della Chiesa.
Innanzitutto, pur rendendola “luce del mondo”, la Chiesa non vi risulta più autosufficiente. Essa non è più rivolta al servizio di Dio, attirando tutti gli uomini a questa vita superiore della quale Essa sola ha le chiavi. La Chiesa vi appare impegnata e appassionata del mondo e del successo mondano, offrendogli una vaga energia pretesa divina, una luce spirituale, una unzione cristica, per permettere ad esso di giungere a pieno compimento su questa terra. Si ha fatto presto a dedurrne che la Chiesa, sotto una nuova forma, è dovunque c’è “animazione spirituale” o “culturale”, generosità, lotta liberatrice per gli uomini.
Poi, la Costituzione conciliare ha proceduto a una rivoluzione, presentando la Chiesa innanzitutto come “Popolo di Dio”, prima di trattare la questione della gerarchia, la cui piramide è stata di colpo rovesciata. Dunque, in principio ci sarebbe il Popolo, il quale è dato come del tutto vivente, illuminato, santificato, il quale – prima che intervenga un minimo di gerarchia – è radunato dall’azione diretta, invisibile, gratuita, inattesa e illuminante… dello Spirito Santo! Ecco qui che l’intera struttura della Chiesa e le sue frontiere abbattute. Questo “Popolo di Dio” deborda ampiamente dai ristretti confini del Cattolicesimo e, pieno di Spirito, è rivestito di tutte le perfezioni: tutti vi sono profeti, sacerdoti e re. Quando si penserà a parlare della gerarchia, non ci sarà da concederle altro che un ruolo accessorio e vagamente antagonista; la si porrà “al servizio” di quel Popolo di Dio!
D’altronde – malgrado una nota praevia rapidamente dimenticata – la Costituzione Lumen Gentium ha dato l’impressione di far trionfare l’idea di collegialità, trasformando il collegio episcopale nel primo depositario del “dono spirituale” concesso dallo Spirito Santo al collegio degli Apostoli. Viene così affermato “il carattere e la natura collegiale dell’ordine episcopale”. Con una frase straordinariamente equivoca, il Concilio ha fatto di quel collegio “il soggetto di un potere supremo e plenario sull’intera Chiesa”… senz’alcun riguardo per l’autorità del papa! Col Decreto Optatam totius Ecclesiae renovatio, i vescovi, che fino ad allora avevano goduto di una reale e personale autorità su un preciso territorio, ormai esercitano un’apparenza di potere, ma senz’autorità reale, su immense regioni e su un illimitato universo, in contrasto con la divina costituzione della Chiesa com’è stata stabilita dal suo Fondatore, Nostro Signore Gesù Cristo.
Infine, da questo rovesciamento della gerarchia e da questo nuovo servizio al mondo, ne è logicamente risultata la promozione del laicato a danno del sacerdote, il quale non ha più funzione propria e insostituibile, tranne che per la validità di qualche sacramento. Il reale lavoro è affidato ai laici, dei quali il prete è solamente e vagamente l’animatore, il consigliere, il portavoce.
Risultato: non abbiamo più preti, perché i vescovi non hanno mai smesso di cedere ai diktat con i quali i laici hanno assunto sempre più numerosi ministeri, fino a guidare i funerali, dare la comunione, predicare e ben presto presiedere l’Eucaristia!
IV: Sulla libertà religiosa
Noi professiamo che la grande battaglia apocalittica, in cui la Rivoluzione c’impegna incessantemente, è quella degli uomini ribelli a Dio, su istigazione di Satana, loro principe, il cui grido di guerra è: “non serviam!”, “non servirò!”. Questa rivolta è la rivendicazione di autonomia della creatura bramosa di divinizzarsi, di eguagliarsi a Dio pretendendosi libera: “Eritis sicut dei”, “sarete come dei”. Nella misura in cui penetrerà nella società umana di salvezza, questa rivolta si farà più aggressiva.
Nel nostro mondo moderno, l’intera tradizione dell’Umanesimo ateo e della Rivoluzione – che «è satanica nella sua essenza» (de Maistre) – è un rifiuto della sovranità del Dio fattosi Uomo da parte dell’uomo che pretende di farsi Dio. La carta costituzionale di questa rivolta è la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, la cui portata è più metafisica che politica, ed è politica al fine di colpire la religione e sostituire il culto di Dio con quello dell’Uomo. E’ dunque normale che il principale avversario della Rivoluzione, più che le famiglie e i troni, sia la Chiesa, la quale è l’opera di Dio e del Cristo tra gli uomini.
Ciò non significa che la Chiesa abbia negato la libertà umana pur di contraddire assolutamente quella Rivoluzione che la proclamava sovrana e che la incitava contro Dio. La Chiesa ha sempre riconosciuto alle persone il diritto e il dovere di seguire la loro coscienza, anche se essa è erronea secondo la retta informazione. La Chiesa sa che «Dio ha affidato l’uomo alla sua decisione» (Sir 15, 14). Per agire da uomini, tutti devono ascoltare la propria coscienza e obbedire ai suoi comandi. E’ su questa obbedienza interiore che essi saranno giudicati, e dal solo Dio. Poiché la religione e la morale sono opere spirituali le cui decisioni derivano dalla coscienza, nessuno potrà essere costretto forzatamente a credere o ad adottare una regola morale, perché Dio vuole l’adesione del cuore. Tuttavia, la Chiesa non dà mai ragione a una coscienza che sragiona.
Sebbene s’imponga ad ogni individuo, il dovere di seguire la propria coscienza non potrebbe mai creare un diritto sociale; infatti, quando è in questione la vita in società, a guidare la libertà non può più essere la sincerità del soggetto ma la verità dell’azione. In ogni settore della vita sociale, è Dio ad essere il supremo legislatore; nessuno può rivendicare una qualche autorità o diritto, se non lo riceve da Dio stesso nel compiere la sua Volontà. Dovendo agire secondo Dio, in nome di Dio e per Dio, sia la Chiesa che lo Stato non possono riconoscere alcun diritto all’uomo che s’inganna – sinceramente o non, poco importa – perché ciò equivarrebbe a togliere a Dio il suo impero e sovrano dominio per abbandonarlo al suo Nemico e abolire ogni giustizia oggettiva. Tuttavia, per il bene della pace, una certa qual “tolleranza”, sempre ammessa dalla Chiesa, può essere concessa a chi s’inganna nel praticare il proprio errore,
Di conseguenza, la libertà sociale e politica, come pure quella religiosa, proclamata come un diritto umano, è palesemente un crimine contro Dio e un “delirio”, secondo quanto è stato dichiarato da tutti i papi, particolarmente dal beato Pio IX nell’enciclica Quanta cura (1964). Infatti, questa libertà attua in un sol colpo la rottura della sottomissione dell’uomo a Dio e la rottura dell’ordine sociale, atomizzato da un anarchico pulviscolo di libertà individuali che presto verranno aggregate da un totalitarismo alla Leviathan, oppure la libertà del più forte sottometterà le masse alla schiavitù. D’altronde, la Chiesa ha sempre lottato contro i propri membri che hanno preteso di conciliare la rivendicazione dei “diritti dell’uomo” con quelli della Chiesa, in forza dell’intero che è maggiore della sua parte migliore. Difatti, essa non potrebbe accettare questa riconciliazione senza rinunciare alla propria stessa essenza, alla propria unica dignità di sola religione vera dell’unico Dio e Salvatore Gesù Cristo.
La Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae personae, approvata in forza di manovre odiose, ha elevato a principio l’errore di un diritto stretto e universale dell’uomo e di ogni comunità umana alla libertà religiosa nel campo delle attività civili e sociali. «Nessuno sia impedito, nessuno sia costretto». Gli autori di questa Dichiarazione non poterono appoggiarsi su alcuna dottrina né fondarla sulla Sacra Scrittura, ancor meno sulla Tradizione, dato che la Dichiarazione era perfettamente contraria ad entrambe.
Mediante questa Dichiarazione, la Chiesa rinuncia alla propria verità, dignità e diritto, al fine di riconoscere all’uomo, ad ogni uomo e agli Stati, la libertà che pretendevano. In tal modo, essa spera di contribuire a una “concordia” e a una “pace” dell’intera “famiglia umana”, le quali si realizzeranno al di sopra delle divergenze religiose considerate come irrilevanti. «Inoltre, la libertà religiosa richiede che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la singolare efficacia della loro dottrina organizzando la società e vivificando l’intera attività umana» (n. 4). Quest’affermazione della Dichiarazione non significa altro che la volontà di costruire un mondo fraterno senza fondarlo su Cristo, ma anzi usando la cooperazione di tutte le religioni e ideologie umane fraternamente associate. Ecco qui l’idea principale di questa Dichiarazione, l’idea-madre di un nuovo progetto così chiamato dal padre de Nantes: “Movimento di Animazione Spirituale della Democrazia Universale” (MASDU).
Come ha scritto il padre Congar: «Tali cose non si proclamano impunemente (!); la lealtà verso ciò che è stato così proclamato trascina con sé molte conseguenze». Difatti, dopo aver proclamato la libertà di tutti nell’intero mondo, la licenza penetrerà anche nella Chiesa. Arriva l’anarchia. Ma essa è dovunque accompagnata dall’intolleranza; difatti i papi e i vescovi – diventati semplici “sorveglianti dell’ordine pubblico” – non tollereranno più coloro che “suscitano divisioni” insorgendo contro la libertà, contro la loro desistenza, contro il loro Concilio e tutte le sue rovine. Oggi, nella Chiesa l’alternativa è: o la libertà o l’anatema!
Se si considera la contraddizione della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa con l’intera nostra santa dottrina cattolica, e le devastazioni provocate da questa novità nelle famiglie, nelle scuole, nelle nazioni cattoliche e nella Chiesa stessa, l’inspirazione di questo complotto contro Dio e contro il suo Cristo dev’essere cercata in uno spirito maligno, malvagio, infernale, quello stesso che sostiene la Contro-Chiesa nella sua ostinata rivendicazione dei “diritti dell’Uomo” e dello Stato alla libertà, spirito che alla fine ha trionfato nel Concilio.
La Dichiarazione sulla libertà religiosa è apertamente eretica e costituisce anzi un atto pratico di apostasia, in inconciliabile rottura con il Magistero, ordinario e straordinario, della Chiesa. Essa è il punto focale della nostra opposizione al secondo Concilio del Vaticano, sull’autorità del quale bisogna ora pronunciarsi.
V: Sull’autorità del secondo Concilio Vaticano
«I concilî hanno sempre avuto nella Chiesa il prestigio della infallibilità» (Bartmann). Infatti, tutti si riunirono con l’intenzione formale di esercitare questa suprema magistratura della fede, «al fine di decidere con prudenza e saggezza tutto ciò che potrebbe contribuire a definire i dogmi della fede, a smascherare i nuovi errori, a difendere, illustrare e sviluppare la dottrina cattolica, a conservare o ripristinare la disciplina ecclesiastica, a rinsaldare i costumi rilassati dei popoli», scrisse il beato Pio IX nella sua lettera convocatoria del primo Concilio Vaticano. Si trattava sempre di fare opera dogmatica, dichiarando la pura verità divina della fede, dissipando le incertezze e condannando gli errori del secolo, e di fare opera canonica prescrivendo ai fedeli gli obblighi che derivano da questa verità divina mirante alla loro salvezza eterna, opponendosi alle massime mondane (cfr. card. C. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, t. I, pp. 536-541).
Il Concilio Vaticano II ha rotto con questa tradizione e si è impegnato in tutt’altra strada.
Da una parte, esso rinunciava a esercitare il suo potere dottrinale infallibile e il conseguenze potere canonico, contraddicendo ciò che la storia e la teologia insegnano sull’immancabile esercizio di questo magistero straordinario. Dall’altra parte, il Concilio si dirigeva verso tutt’altra impresa, quella di “aggiornamento”, di “ecumenismo” e di “apertura al mondo”; impresa originale e nebulosa, della quale è difficile valutare, a norma di diritto, l’autorità specifica, le legittimità e il grado di assistenza divina dei quali può godere. Questa sorprendente decisione è stata imposta all’assemblea conciliare dal papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962. I Padri conciliari seppero che essi non dovevano più fare opera dogmatica, né definire verità divine, tantomeno denunciare errori del secolo, soprattutto condannare qualcuno.
Papa Paolo VI confermò quest’orientamento, inserendo nella Costituzione dogmatica Lumen gentium una notifica che citava la dichiarazione della commissione dottrinale del 6 marzo 1964: «Tenuto conto dell’usanza dei Concilî e della finalità pastorale dell’attuale Concilio, questo definisce come obbliganti per la Chiesa solo quei punti riguardanti la fede e i costumi ch’esso avrà chiaramente definiti come tali». Il 12 gennaio 1966, un mese dopo la chiusura del Concilio, Paolo VI confermava: «Considerato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di proclamare in maniera straordinaria dogmi dotati della nota d’infallibilità».
Dopo aver rinunciato a esercitare la sua autorità suprema e infallibile in materia dogmatica e morale, il Concilio ha rivendicato un potere “profetico” di riformare la Chiesa in senso evangelico, potere eguale a quello ricevuto dal collegio degli Apostoli, come se il Concilio godesse degli stessi privilegi che solo quel collegio ottenne per fondare la Chiesa. Il Vaticano II si dichiarò concilio pastorale, ma non per rendersi minore dei concilî dogmatici precedenti, anzi per presentarsi come maggiore di tutti quelli messi assieme. Le prima parole della Costituzione Dei Verbum mostrano su cosa si fonda questa pretesa: i Padri vi affermano di essere in contatto diretto, immediato e inspirato con la stessa Parola di Dio, al fine di fondare liberamente una nuova Chiesa.
Risultato: i sedici testi promulgati durante le quattro sessioni del Concilio Vaticano II, tutti fallibili perché non infallibili, hanno diritto a una valutazione differente, a diversi titoli, secondo la loro forma canonica e la loro “nota teologica”. Questi sedici testi sono discutibili, alcuni più e altri meno. Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni, è un intrico: nessuno sa ciò che il Vaticano II vuole dire. E’ tutto e nulla, c’è del tradizionale, del nuovo, del certo e del dubbio, del vero e del falso, dove il meglio avalla il peggio. Valutarlo come eguale al Credo di Nicea, significa decerebrare la Chiesa, far marcire la fede donandole un oggetto confuso e inintellegibile, che sfugge all’analisi proprio perché rifiuta ogni definizione.
La nostra risposta alle prime due domande
Sotto l’autorità dei 261 primi successori di san Pietro e dei 20 primi Concilî ecumenici, al pari del nostro Fondatore padre Georges de Nantes, noi professiamo la fede cattolica così com’è stata insegnata, particolarmente nel Simbolo della fede nicena-costantinopolitana e nell’insieme dei Concilî ecumenici riconosciuti della Chiesa cattolica… ad eccezione del secondo Concilio del Vaticano, del quale noi contestiamo ogni autorità magisteriale infallibile; infatti esso, in nessuno dei suoi atti, ha definito sul piano dogmatico e canonico alcuna verità di fede, paragonabile (ad esempio) al dogma della consostanzialità delle Persone divine, che è essenziale al Credo niceno-costantinopolitano, la cui negazione separerebbe ipso facto dalla comunione ecclesiale.
Noi ne deduciamo che i sedici testi promulgati dal Concilio Vaticano II sono tutti fallibili, tutti discutibili, quindi hanno diritto a una differente considerazione secondo i loro differenti titoli, forme canoniche, “note teologiche”. In tali condizioni, noi non possiamo pronunciarci con certezza sull’autorità goduta da quegli atti, considerando che spetta al Magistero ecclesiastico, per bocca del Sovrano Pontefice, di compiere con potenza e decisione un’opera di discernimento, al fine di separare, in modo infallibile e definitivo, ciò che, in quegli atti conciliari, proviene dallo Spirito di Dio e ciò che proviene dallo spirito di Satana.
In attesa di questo giudizio dottrinale infallibile, in conformità ai diritti e ai doveri riconosciuti ad ogni battezzato di restare fedele alla fede cattolica ricevuta dalla Chiesa, noi sospendiamo la nostra adesione a ciò che ci pare chiaramente eretico negl’insegnamenti del Concilio Vaticano II, come nel caso del diritto sociale alla libertà religiosa contenuto nella Dichiarazione Dignitatis humanae, promulgata il 7 dicembre 1965.
(Il resto della traduzione in italiano del documento di risposta sara dato prossimamente – ma il testo completo in francese è già consultabile sull presente sito internet. )
La ricostruzione: una cattedrale di luce
La successione del pontificato di Giovanni XXIII, che aprì il Concilio Vaticano II, di Paolo VI, che lo concluse, e di Giovanni Paolo II, che lo mise in pratica, perseguì lo scopo di una profonda intesa con tutte le religioni, i popoli, le culture del mondo, scopo definito dal padre de Nantes come trasformazione della Chiesa cattolica romana in “Movimento di Animazione Spirituale della Democrazia Universale” (M.A.S.D.U.): preparare la Chiesa a un rinnovamento della sua fede e della sua pastorale in vista di una “nuova evangelizzazione” e di un “nuovo umanesimo” per il terzo millennio.
L’opera del nostro fondatore padre Georges de Nantes non è altro che la difesa e illustrazione della dottrina cattolica, «non mutata, non mutabile, non negoziabile a causa della sua perfezione divina», la quale egli non ha mai smesso di meditare e perfezionare in dottrina “totale”, al fine di rispondere all’immensa apostasia che risulta dall’odierno adulterio della Chiesa, unica Sposa di Gesù Cristo, al fine di generare figli di Adamo con una nuova nascita alla grazia ritrovata, inserendo nella propria famiglia le “altre religioni”.
Preparare il Vaticano III
Il 13 maggio 1971, il nostro fondatore lanciò una campagna che raccoglieva la sfida del cardinale Suenens: «Invece di lamentarci e di predicare inutilmente il ritorno al passato o la “riforma” del Vaticano II in senso moderato, prepariamo l’avvenire!» Egli si dedica allo studio attento e critico degli Atti del Concilio che consistono in sedici testi, tra “costituzioni”, “decreti” e “dichiarazioni”. Dopo aver scoperto i germi di eresia, di scisma e di scandalo seminati in quei documenti, egli formula, in una esposizione dogmatica, le contro-proposizioni per gli schemi riparatori e vendicatori.
Egli ricostruisce tutti i settori della teologia maltrattati da mons. Wojtyla col suo “dogma” della Incarnazione definita come unione del Cristo “con ogni uomo”, chiunque egli sia, rendendolo così un dio. Ma il padre de Nantes non si accontenta d’insegnare con la parola e lo scritto una “teologia totale” e una mistica cattolica della vera unione con Dio: egli l’ha vissuta in una continua contemplazione e in un incessante colloquio con Dio Padre e con Dio Figlio, nutrita da tutti i doni di Dio Spirito Santo, sforzandosi d’introdurre in questa divina famiglia noi fratelli e sorelle…
Giovanni Paolo II ha fatto della religione una dialettica hegeliana; invece il padre de Nantes ne ha fatto un amore, come il padre de Foucauld, come santa Teresina del Bambino Gesù, e ha impegnato l’intera propria vita a “far amare l’amore”. La prima pagina mistica, datata febbraio 1968, è un grido emesso dal cuore: «Padre Nostro che sei nei Cieli, io vi amo e soffro!» Di cosa egli soffre? Come san Francesco d’Assisi, del fatto che “l’amore non è riamato”.
Per far riamare l’amore, egli avvia una Contro-Riforma Cattolica che attacca non solo la “terza riforma”, quella del XX secolo, ma anche la prima, quella di Lutero (1517), il quale fece il “primo passo”, come disse san Pio X condannando la seconda, il modernismo (1907), che aveva fatto il “secondo passo”, in attesa di compiere il “terzo passo”, quello che condurrà all’ateismo nel quale ci troviamo oggi.
«Le questioni dibattute sono nuove, almeno in parte – ammetteva il nostro fondatore – ed esse ci costringono a risolvere difficoltà che gli antichi non conobbero. Pertanto, il nostro cattolicesimo dovrà fare progressi teologici e istituzionali. (…) Noi non vogliamo “ritornare” al Vaticano I, tantomeno al Concilio di Trento o a quello di Nicea! Noi vogliamo che il Vaticano III filtri il Vaticano II, isolando ed eliminando il suo veleno».
Questo è il programma che il padre de Nantes compirà mediante conferenze mensili tenute nella sala della Mutualité, a Parigi, durante 25 anni, e nella rivista mensile La Contre-Réforme Catholique au XX siècle, la quale, a partire dall’anno 2000, è diventata Il est Ressuscité, al fine di ricostruire una Chiesa raffigurata come “una grande città mezza in rovina” nel “terzo segreto” di Fatima pubblicato nell’anno 2000, “per l’ingresso nel terzo millennio”.
Teologia kerygmatica
Dal dicembre 1972 all’ottobre 1973, il programma annunciato sotto questo titolo si sviluppa come una proposta di riconciliazione superiore che rimedia alle riduzioni e ai furori settari seminati nella Chiesa dalle novità del Concilio Vaticano II e aggravati dalla dialettica di Giovanni Paolo II. Ritornare al kerygma apostolico, significa ritornare all’annuncio franco della Parola di Dio sulla quale gli Apostoli hanno fondato la Chiesa l’indomani della Pentecoste, dopo aver ricevuto la pienezza dello Spirito Santo.
Dio, il nostro Dio, suo Figlio Gesù Cristo e il loro Spirito di Amore, sono un Dio dell’ordine o della Rivoluzione? A questo antagonismo, che la cinque secoli lacera la nostra Cristianità, ecco la risposta “kerygmatica”:
«Col Cristo, io sono rivoluzionario al fine di rovesciare il potere del Principe delle Tenebre di questo mondo, e sono conservatore dell’Ordine che è il frutto della natura e della grazia già ricevuta dall’umanità, attendendone ancora mille meraviglie».
Questo principio ha guidato l’analisi dell’attualità politica e religiosa esposta alla Mutualité parigina a partire dalla sua prima riunione mensile, fino al 1996. Gli avvenimenti politici e religiosi vi sono compresi e spiegati dal punto di vista di Dio, per discernervi “i segni dei tempi”, come essi dicono, ossia la volontà di Dio, come noi diciamo, secondo una ortodossia divina, un cammino che conduce a Dio lungo la via più diretta.
Questa teologia kerygmatica ha preparato l’estetica mistica (novembre 1977 - settembre 1978), oggetto delle conferenze che hanno preceduto la morte di Paolo VI e l’avvento di Giovanni Paolo I per un regno di trenta giorni nel 1978.
Il fine è sempre lo stesso: «la ricerca di una via sgombra e praticabile verso Dio, una via di unione al Dio possibile, parlante e sicuro». Questa estetica si fa drammatica dal momento in cui la bellezza si manifesta nella bruttezza della Croce e sul Santo Volto di Gesù crocifisso, «centro e culmine di ogni estetica», dopo che Gesù e Maria hanno vinto il peccato, ce ne hanno purificati mediante questo mistero di morte e di resurrezione. Da allora, trovare il Padre nel Figlio, nel che consiste la vera religione, significa accedere alla Gloria mediante la croce, cercare la felicità nelle prove, la ricchezza nella povertà, la vita nel sacrificio.
Dopo la Pentecoste, la storia della Chiesa è la messa in opera del regno temporale del Sacro Cuore su tutta la Terra. «E’ in quest’ascensione mistica e al suo punto più alto di elevazione, che si scoprono le radice e la fonte di questa carità apostolica, sociale, politica, che si esprime nella seconda richiesta del Pater noster, così cara al padre de Foucauld, e che conduce alla terza: “venga il vostro Regno, sia fatta la vostra volontà, come in Cielo così anche sulla Terra”».
La Chiesa risplendette per secoli di tutte le meraviglie compiute in Lei dallo Spirito Santo nella linea dei santi, intrepidi difensori della pura fede cattolica e instancabili riconciliatori della comunità filiale e fraterna.
L’amore per la Chiesa
Per capire ciò che il nostro fondatore chiamava “linea di creta”, non integrista né progressista, ma tradizionalista, bisogna leggere quel capolavoro intitolato Le Grandi crisi della Chiesa, contenuto nei numeri da febbraio a novembre della rivista CRC:
«La più profonda, solida, obiettiva distinzione tra le due grandi attitudini, sempre identiche tra loro, che fin dalle origini dividono l’intelligenza cristiana, bisogna cercarla nella comprensione del Mistero rivelato. Da una parte, dominano la fede, la certezza mistica (non dico sentimentale), prevalgono il senso soprannaturale, la grazia, il divino. Dall’altra parte, in compenso, prevalgono la ragione, la logica, il naturalismo, l’umanesimo, la libertà dell’uomo, il mondo terreno. Là il Cielo attira l’essere all’estasi verso una vita eterna; qua, al contrario, è la Terra che trattiene l’uomo appassionatamente occupato a farsi una vita indipendente e felice.
In apparenza, bisognerebbe prendere posizione pienamente e sempre per il partito divino, contro quello umano. Invece, la Verità totale ci è sempre apparsa mirante a riconciliare l’uno e l’altro, escludendone gli estremi. Ella è sempre stata la sintesi rivelata e misteriosa, presentata e spiegata da Dio agli uomini, tra la soprannatura e la natura, la grazia e la libertà, nella duplice ma congiunta conoscenza della fede e della ragione. Quando un conflitto sorge nella Chiesa, è il partito di Dio ad avere buon gioco». Questo partito è quello di un “tradizionalismo intelligente”, del quale l’opera monumentale del nostro fondatore è il frutto.
La prova ci viene fornita particolarmente dal suo Studio sui Sacramenti, saggio teologico e pastorale (novembre 1976 - agosto 1977). Perfino il padre Congar si è complimentato per questa risposta data alla rivolta integrista mediante una valutazione serena, uno studio approfondito dell’esatto valore delle novità postconciliari. In vista di quella necessaria sintesi riconciliatrice che sarà l’opera del Vaticano III, «nel quale le abitudini passate saranno definitivamente raddrizzate e corrette dalle novità odierne, ma queste stesse saranno emendate e purificate degli errori che le deturpano. Forse che questo complica la strategia dei partiti, spezzando il dualismo manicheo che ne fa la forza militante? Ma ciò rafforza altrettanto il solo partito al quale noi teniamo: quello della Chiesa. E’ lungo questa sola via che prevedo una soluzione, una porta di luce».
Questo è un giudizio da vero figlio della Chiesa… e di Maria.
Figlio di Maria
Tutta la sua vita sarà illuminata da una luce ricevuta in teologia dogmatica all’entrata in seminario; a questa auna egli sarà condotto a riorganizzare l’intero sapere che insegnerà a noi suoi figli spirituali. Nelle sue Memoires et récits egli racconta: «Ero particolarmente attento, quando il professor Guilbeau si occupò della definizione di persona. In filosofia, ero stato più volte contrariato dal fatto di capirla male e di udire frettolosamente dedurne giudizi contrari ai miei “pregiudizi familiari”… e maurrasiani come l’autonomia, l’indipendenza, la sublime dignità, gl’inalienabili diritti della persona, di ogni persona al servizio della quale il mondo intero dovrebbe impegnarsi, mentre l’individuo – ma non è lo stesso essere! – è solo un membro del tutto sociale e al suo servizio è dovuto perfino il sacrificio della vita.
Chiesi a Guilbeau come mai questo stessa parola (persona) potesse evocare due idee così diverse da sembrare opposte, anzi contraddittorie: quella che ci aveva insegnato quel giorno, che veniva da una tradizione filosofica più che millenaria, caratterizzante l’individuo umano per la sua incomunicabilità; e quella che aveva precedentemente sviluppato dalla tradizione ecclesiastica, dai Padri greci e da sant’Agostino, i quali definiscono le divine Persone come pure relazioni, “relazioni sussistenti”. Sussistenza e autonomia non erano forse termini inconciliabili con quel dono totale, con quelle “processioni” che costituiscono le tre Persone divine?»
Insomma: «Non è forse increscioso designare col la stessa parola, nella società umana, sia l’ente indipendente, geloso dei propri diritti, sedicente sovrano, sia, nella società divina, queste Persone che sono e vogliono essere del tutto relative, doni senza vicendevoli riserve, pura paternità, filiazione, amore? Non dovrebbe esserci coerenza o analogia, tra una sfera e l’altra? Le persone umane non dovrebbero definirsi a immagine e somiglianza di quelle divine, invece che all’opposto della loro ammirabile perfezione?»
Il padre Guilbeau ascoltava il suo allievo, «come colto alla sprovvista su questo percorso nel quale io lo precorrevo come un bimbo irriflessivo». Allora egli cadde malato, fu ricoverato in ospedale e operato d’urgenza. Al suo allievo venuto a visitarlo, disse sorridendo: «Non l’ho dimenticata, ci sto riflettendo… E’ una questione molto interessante, ma difficile. E’ senza dubbio la chiave…»
«Ebbi il presentimento che non avrei mai ricevuto da lui la risposta a questa mia domanda, a una questione ch’egli aveva fatto propria nel suo dialogo di moribondo con la Santa Trinità. Pochi giorni dopo, egli vide ciò che aveva cercato» (Mémoires et récits, t. 2, pp. 162-163).
«Ecco da quale dramma io fui introdotto alla vera teologia. Il peso di questa grazia non ha smesso di crescere col tempo, nella misura in cui questo problema ha fatto sgorgare in me una immensa novità metafisica e una teologia totale che, dopo 40 anni, non hanno smesso d’illuminare il mio spirito».
Contro il razionalismo filosofico di Giovanni Paolo II e contro il suo solipsismo generalizzato, entrambi inspirati dalla “filosofa dei lumi”, e contro il “culto dell’uomo” rafforzato nel mondo da Paolo VI, la “teologia totale” di Georges de Nantes è maestra di verità e c’introduce «nella sola religione al mondo che annodi tra il Cielo e la Terra i legami di una circumincessante, divina e umana carità: il Figlio di Dio che si fa Figlio di questo mondo, Figlio di Maria, nel villaggio di Nazareth, c’insegna ad amare ogni filiazione sulla Terra».
Perfino la filosofia ne risulta rinnovata: una volta riportata la relazione alle sorgenti dell’essere, il nostro fondatore riorganizzava l’intero sapere umano definendo quell’essere privilegiato che è la persona umana mediante le proprie relazioni originarie.
La relazione di filiazione è il costitutivo formale della “persona”: da quella del Figlio unico di Dio, il Verbo, rivolto verso suo Padre, da quella del bimbo rivolto verso padre e madre, derivano tutte le altre relazioni del discepolo rivolto verso il suo maestro, della sposa rivolta verso il suo marito, del capo di Stato verso il bene comune, della colonia verso la metropoli, del capo della Chiesa verso il Cristo, in una “dipendenza ascendente” e costitutiva, edificando un corpo mistico nel quale i legami della natura si aggiungono a quelli della grazia, dove l’intera vita personale, come pure quella del corpo sociale, è ordinata alla carità. Visione plenaria, rassicurante, equilibrata, della quale i nostri spiriti giovanili non misuravano l’altezza divina e la profondità umana, la lunghezza ortodromica e la larghezza cattolica:
«Noi siamo costituiti per intero ma a titoli molteplici, relativi. Noi siamo nati da relazioni con i nostri padri, viviamo nelle relazioni con i nostri contemporanei, immaginiamo un avvenire per i nostri successori e discendenti. Ah! Quale liberazione per la carità e per il servizio della comunità, della Chiesa e della patria!»
Si tratta di dimostrare all’uomo ch’egli non è il centro dell’universo né il suo termine, ch’egli non è fine a sé stesso. Anzi, essendo creatura di “Io Sono”, egli è chiamato da Lui a compiersi e a salvarsi facendo corpo con i propri fratelli umani, nel Corpo del Cristo, a lode della gloria di Dio! Ne sorgono così una morale e una mistica differenti, anzi contrarie ai princìpi in vigore nel secolo passato, nel quale tutto era dovuto all’uomo in quanto solo assoluto. Oggi, noi sappiamo che il bene, la bellezza, la gloria dell’“uomo relativo” consistono nel servizio degli altri, nell’amore, nella convivialità, nell’unione in un solo Corpo, nella gioiosa docilità verso quel Dio che conduce tutto alla pienezza universale.
Questa “metafisica totale” (novembre 1981 - settembre 1982) si prolunga in una dimostrazione apologetica (novembre 1984 - giugno 1985) che descrive l’ordine dell’universo alla luce di questa certezza della presenza di Dio agente senza interruzione nella sua creazione per porla nell’essere ed orientarne lo sviluppo secondo una divina ortodromia. Il nostro fondatore scruta così la storia universale per scoprirne la forza assiale: dal big bang originario alla rivelazione di Gesù Cristo, nella quale Dio dichiara il proprio amore, dalla fondazione della Chiesa fino al ritorno dell’intera creazione a Dio, in Lei e mediante Lei, nell’amore.
Così, all’anima del discepolo che si pone alla sua scuola, il nostro fondatore propone di conformare la sua traiettoria personale a quella dell’universo e di… seguirne la musica, prendendo posto in questo movimento della divina ortodromia, per esserne un elemento vivente e non un cadavere sul fondo della strada lungo la quale, secondo la visione del terzo segreto, avanza il Santo Padre, con passo vacillante, al fine di appartenere a questo Regno di Dio, per militarvi unendosi a questo grande corpo mistico che è la Chiesa, per combattere con i propri fratelli contro le forze avverse uscite dall’Inferno, per l’onore di Dio “primo servito” e per la salvezza degli uomini.
Dall’ottobre 1998 al giugno 1996, il nostro fondatore s’impegnerà a scoprire le risorse della storia volontaria della dolce e santa Francia e il suo posto di “figlia primogenita della Chiesa” nel grande progetto universale. In questa prospettiva, egli mise in luce la chiave della nostra storia contemporanea: nel 1689, il Sacro Cuore rivolse richieste a Luigi XIV il quale, col suo rifiuto di esaudirle, attirò la sciagura della dominazione di una repubblica satanica sulla Francia… durata fino ad oggi.
Da queste lezioni della storia universale, e particolarmente dalla storia francese, risulta una…
…morale e politica “totale”
Dal novembre 1983 al giugno 1984, mediante l’insegnamento di una “politica totale”, il nostro fondatore rinnovella il pensiero di sant’Agostino, di Bossuet e di Maurras, concernente il ristabilimento delle autorità politiche e religiose creatrici di ordine. Allo scopo di rispondere agli errori che causano il caos attuale, dovuto particolarmente agli sforzi per una morale dei “diritti dell’uomo” aggressivamente contestataria, anarchica e rivoluzionaria, egli articola la scienza politica su tutte le altre scienze: storia, filosofia, metafisica, e infine sulla religione e sulla mistica contemporanee.
Allora egli tocca il sublime, quando si appella alla restaurazione di una politica sacrale erede di santa Giovanna d’Arco.
Questa politica è davvero “totale”. Il re di Francia ne è la chiave di volta. Egli fa l’unità morale, affettiva, volontaria del suo popolo, la quale è condizione, causa e fonte “mistica” della vita e della salvezza di tutti, perché tra loro regna una costante e attiva adesione delle membra alla volontà del capo. Tale comunione non può esistere che in una nazione cattolica, perché presuppone un istinto civico, patriottico, nazionale, sostenuto da una energia soprannaturale capace di prevalere sulle forze disgregatrici che dominano nelle nostre società moderne, dato che ogni persona cede alla tentazione originaria: “voi diventerete come Dio”.
Orbene, è il re a dispensare questa grazia vittoriosa, in virtù della propria consacrazione che gli conferisce un potere di governo assistito dal Cielo. Questa “mistica” legittimità cristiana trova appoggio sulla fedeltà dei soggetti membri della Chiesa cattolica, sul Cristo e sulla Sua Chiesa.
Basti dire che le virtù di Fede, di Speranza e di Carità sono i pilastri di quest’alleanza stipulata da Dio con la propria creatura “personale” donandole l’essere, in particolare col proprio “luogotenente” consacrato a Reims, al quale ha affidato il regno francese “come commenda”. E’ un contratto ineguale che richiede la nostra riconoscenza. Alla creatura, s’impone il ben dolce dovere di rendere a Dio amore per amore, dargli tutta la nostra fiducia, conservare immutata quella nostra fede immutabile a causa della divina perfezione. Nell’amare Lui stesso, tutto intero, tutti i suoi pensieri, tutte le sue volontà, noi siamo chiamati ad amare l’intero universo da Lui creato: il nostro caro prossimo, tutti gli uomini, ma particolarmente coloro che sono stati posti nel nostro proprio universo familiare, con i quali intratteniamo rapporti quotidiani.
Dato che la persona umana si definisce non tanto con la sua “essenza” di “animale razionale”, quanto nelle sue relazioni, una “morale totale” (novembre 1985 - giugno 1986) la rivolge verso gli altri: noi esistiamo molto più mediante gli altri, per gli altri, con gli altri, piuttosto che essere individui autonomi, indipendenti e, in fin dei conti, egocentrici, per non dire autistici, secondo i moderni patologi. Io non sono “per me stesso” ma sono “per gli altri” e qui sta il campo di una morale totale definente i miei obblighi, i miei dolci doveri e infine la mia beatitudine, il mio valore, il mio merito e la mia gloria.
Fatima
Nella sua apparizione del 13 luglio 1917, la Madonna confidò a Lucia, Francesco e Giacinta un “segreto” in tre parti. La prima è la visione dell’Inferno: «Avete visto l’Inferno, nel quale cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarli, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato».
Questa visione rivela l’atroce e indescrivibile castigo, dolore, disperazione senz’alcuna luce né amore né addolcimento, che è già tra noi, su questi empi, i “poveri peccatori” dolcemente compianti dalla Beatissima Vergine perché essi sono i dannati di domani che fin da oggi, qui vicino a noi, cadono nell’Inferno.
Attristato, Dio osserva questo mondo già dannato, per il quale Egli non ha pregato (Gv 17, 9), mondo ancora gioioso e insolente, persecutore della Chiesa, mentre sfida Dio, in molti luoghi.
Tuttavia, «se si farà ciò che sto per chiedere, molte anime si salveranno e si avrà la pace». Questa è la seconda parte del “segreto”, che riguarda le nostre faccende terrene: il purgatorio quaggiù. L’ortodromia fondata sull’autorità divina svela e spiega le conseguenze della “malvagia pace” del 1919 e del rifiuto opposto dalla Gerarchia alle richieste della Madonna. Così, il segreto di Fatima è «il vero filo della Vergine per illuminare il nostro cammino nel mondo e per condurci alla salvezza temporale ed eterna».
La conclusione di questa seconda parte rimane condizionata: «Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato». Dalla obbedienza della Chiesa a questa divina volontà, dipendono la salvezza delle anime e la pace nel mondo. Dunque, tutto è posto nelle mani del Santo Padre: spetta a lui consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria, dopo aver comandato ai vescovi di unirsi a lui, affinché essa si converta; spetta a lui anche raccomandare la devozione riparatrice dei primi 5 sabati del mese. Mediante queste semplici richieste, sono la necessità della conversione alla Chiesa cattolica, la mediazione della Madonna, l’autorità universale del Vicario di Cristo-Re, l’esistenza del Cielo e dell’Inferno ad essere ricordati al mondo. Ma tutte queste verità urtano proprio la “gnosi wojtyliana”.
Per questo motivo, quando papa Giovanni Paolo II, il 28 ottobre 1981, raccomanda la recita del Rosario, si guarda bene dal menzionare esplicitamente la richiesta di recitarlo quotidianamente, richiesta fatta espressamente dalla Madonna in ognuna delle sue apparizioni del 1917.
Durante il suo pellegrinaggio sul luogo delle apparizioni, il 12 maggio 1982, non solo egli non rivelò il segreto atteso, ma ne parlò con disinvoltura: «Vorreste che io v’insegnassi un segreto? E’ semplice e ormai non è più un segreto: “Pregate molto, recitate il Rosario ogni giorno”»… ma questa è proprio la sola cosa che non è mai stata segreta!
Nella sua predica durante questo pellegrinaggio, il Papa non solo non approvò la devozione riparatrice ma ne distolse i fedeli: «Nella giubilante attesa di concretizzare tutto ciò, pienamente, nella Santa Messa di domani, fin d’ora viviamo pienamente ed eucaristicamente il nostro pellegrinaggio, offrendo noi stessi a Dio mediante il Cuore Immacolato di Maria, in ringraziamento e nella disponibilità; offriamo i nostri sacrifici in unione col Cristo redentore e, in una preghiera espiatrice e propiziatrice per le nostre anime, ripetiamo: “Signore Gesù, lo faccio per amor vostro, in riparazione dei peccati e per la conversione dei peccatori”».
Invece, la formula esatta della preghiera insegnata dalla Madonna è la seguente: «O Gesù, è per amor vostro e in riparazione delle offese al Cuore Immacolato di Maria e per la conversione dei poveri peccatori». Inoltre, il papa sostituì la consacrazione a Maria o al Cuore Immacolato di Maria con la “offerta a Dio mediante Maria”.
Egli citò anche la preghiera dell’Angelo: «Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo»; ma passò sotto silenzio la seconda parte di questa stessa preghiera: «Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano». Perché mai?
Il mattino di quello stesso 13 maggio 1982, il papa incontrò riservatamente suor Lucia. Durante l’incontro, durato dai 20 ai 25 minuti, la messaggera del Cielo poté consegnargli una importate lettera, nella quale confermava che le visioni del “terzo segreto” sono in stretta relazione con le parole della Madonna che le precedono: sotto una forma allegorica, esse descrivono le promesse divine e soprattutto i castighi legati al rifiuto da parte delle alte autorità ecclesiastiche di esaudire le richieste del Cielo. Disse suor Lucia al papa:
«La terza parte del segreto, che voi siete ansioso di comprendere, è una rivelazione simbolica che si riferisce a questa parte del Messaggio, condizionata dalla nostra risposta o non-risposta a quanto il Messaggio stesso ci domanda: “Se si ascolteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e si avrà la pace; altrimenti, essa diffonderà i propri errori nel mondo”, etc. Dato che noi non abbiamo tenuto conto di questo appello del Messaggio, noi constatiamo ch’esso si è realizzato: la Russia ha inondato il modo dei propri errori. Sebbene poi noi non vediamo la conclusione di questa profezia in un fatto già compiuto, vediamo però che ci stiamo arrivando a grandi passi».
Fino alla sua morte, suor Lucia poté constatare che, conformemente alle parole di Nostro Signore nella rivelazione di Rianjo (1931), i suoi ministri non hanno voluto ascoltare la sua richiesta.
I pensieri di papa Giovanni Paolo II andavano all’opposto di quelli del Cuore Immacolato di Maria. Il papa auspicava la riconciliazione delle “Chiese separate d’Oriente e d’Occidente”, ma non per questo voleva “convertire” la Russia al Cattolicesimo, perché il proprio grande progetto millenarista consisteva nel realizzare l’unione di tutte le confessioni religiose, su un piano di eguaglianza, senza permettere che la Chiesa cattolica si valesse di qualunque superiorità sulle “altre”. L’intero programma papale corrispondeva alla sua chimera di un mondo pacifico, nel quale le religioni non formassero che un solo “movimento per l’animazione spirituale della democrazia universale”, chimera simboleggiata dalla riunione ecumenica organizzata ad Assisi il 27 ottobre 1986.
La violenta contraddizione esistente tra le volontà divine rivelate a Fatima e le iniziative interreligiose per la pace fu resa evidente, proprio durante l’incontro di Assisi, da un fatto sconvolgente.
Avanzava un corteo portante una barella per la processione, sulla quale stava una statua della Madonna di Fatima posta su una culla di fiori sistemati in forma di cuore bianco trafitto su un fondo di fiori rossi. Ebbene, il servizio d’ordine respinse il corteo, per cui la barella con la statua dovette essere abbandonata là, per terra, nell’erba.
«Ecco un incidente che ci fa riflettere – commentò il padre de Nantes – il segno celestiale di una lunga giornata fredda e senza gioia, senza fede, senza luce, nella quale Dio sembrava sordo alle preghiere che salivano verso di Lui. Di cosa si trattava, in quel giorno, con quella partecipazione di così tanta gente? Della pace, di assicurare al mondo la pace. Ma mediante chi e con quali mezzi? Mediante tutte le religioni e tutti i culti.
«Allora, ecco che avanza Colei che ha ricevuto dal Dio unico e vero il dono della pace. Ella sale, si avvicina, viene ad offrire all’assemblea di tutte le religioni il dono della sua grazia per tutti coloro che vorranno pregarla e supplicarla e, in questo modo, viene per toccare il Cuore di suo Figlio, senza il quale nessun uomo, nessun popolo può fare alcunché. Ma ecco – qual gran segno! – ch’Ella viene respinta per non offendere il gran rabbino di Roma e il gran muftì della Mecca, gli adoratori del serpente e quelli del fuoco, i settatori del Buddha la cui statua tutta dorata, per il loro culto, viene posta sul tabernacolo della Chiesa di san Pietro!
«Ma cosa mai hanno fatto ad Assisi? Lo scopo, il desiderio supremo di Gesù è che gli uomini, il papa, tutti i vescovi, tutti aprano i loro cuori a Maria. Invece ad Assisi, l’altra sera, essi l’hanno espulsa, respinta! Per ottenere la pace, si preferisce pregare Buddha e Allah!
«Fatima c’insegna ch’Ella sola potrà soccorrerci per darci la pace nel mondo e la fine della guerra. Eppure Ella sola è stata respinta in Assisi da un papa che, per propria ammissione, era stato salvato dalla morte cinque anni prima, il 13 maggio 1981: che traviamento senza rimedio!» (CRC, n. 228, dicembre 1986, pp. 10-11).
La nostra risposta alla terza domanda
Come fece il padre de Nantes finché visse, anche noi riconosciamo pienamente l’autorità legittima e ininterrotta del magistero dei papi, successori dell’Apostolo Pietro, in particolare quella di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e infine ovviamente anche quella di papa Francesco. In quanto figli della Chiesa, a priori e per principio noi ci dichiariamo pienamente sottomessi al loro magistero, ma nei limiti canonici del legittimo esercizio del loro potere d’insegnare, nella loro qualità di capi supremi e immediati di tutti i pastori e di tutti i fedeli.
Infatti, con l’avvento di Giovanni XXIII ma soprattutto con quello di Paolo VI, il magistero dei sommi Pontefici, sia esso ordinario o solenne e in ogni caso infallibile, ha proseguito, ma è stato alterato e traviato, fino al punto di renderlo sterile, a causa di un parallelo magistero di nuovo tipo, un magistero strano, “profetico”, “autentico”, col quale i sommi pontefici si sono attribuiti un potere eguale a quello attribuito da Nostro Signore Gesù Cristo ai soli Apostoli per fondare la Chiesa. In virtù di questo magistero innovatore, estraneo alla loro primaria carica di confermare i fratelli nella fede, abusivamente subordinato all’autorità del Concilio Vaticano II, Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno preteso di guidare la Chiesa lungo la strada sovversiva di una “riforma” permanente, di un’apertura al mondo mediante falsificazione dei dogmi, sovversione della sacra liturgia e annientamento della morale e del diritto cattolici, in assoluta rottura col magistero tradizionale dell’insieme dei papi che li hanno preceduti sul trono di Pietro.
Il padre de Nantes ha criticato questo insegnamento innovatore, ha fatto pubblicamente conoscere la propria opposizione agli errori ch’esso conteneva, in particolare alla sostituzione del culto di Dio con quello dell’Uomo, proclamato da Paolo VI e del quale Giovanni Paolo II ha preteso di gettare le basi dottrinali. Il nostro fondatore si è affidato al magistero definitivo e sovrano della Chiesa, dedicando tre libri di accusa per eresia, scisma e scandalo, riguardanti i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, per impegnarli a ritrattare oppure a definire infallibilmente le novità contenute nei loro insegnamenti; questi tre libri sono finora rimasti senza risposta e il loro autore non si è visto attribuire alcun errore.
In qualità di figli spirituali del padre Georges de Nantes, dunque suoi eredi, noi facciamo nostre le accuse contenute in quei tre libri accusatori e consideriamo ch’esse riguardino indirettamente ogni sommo Pontefice, dal momento in cui egli, per giustificare le decisioni prese dal suo magistero. intende solidarizzare con gl’insegnamenti, innovatori e dunque fallibili, dei papi Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Finché queste accuse, direttamente o indirettamente, non saranno oggetto di una decisione infallibile e definitiva da parte del magistero, noi, Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle del Sacro Cuore, continueremo a porci in sottrazione di obbedienza, secondo la quale, seguendo l’infallibile criterio della Tradizione, noi distinguiamo al nostro meglio ciò che proviene dal magistero normale e cattolico del sommo Pontefice regnante per sottomettercisi, da ciò che proviene da quest’autorità usurpata per la “riforma” della Chiesa, da noi considerata come nulla e non avvenuta.
La quarta domanda :
«Riconoscete voi il magistero ordinario e l’autorità del vescovo dal quale dipendete?»
Abbiamo un dubbio riguardante il significato dell’espressione “magistero ordinario”. L’autore della domanda lo intende nel suo senso ovvio, ossia come “insegnamento che la Chiesa ha sempre e universalmente mantenuto per certo”? Indubbiamente no.
Comunque sia, la nostra risposta sarà la stessa data alla terza domanda.
Noi riconosciamo pienamente la legittima autorità dei vescovi, successori degli Apostoli, dai quali dipendiamo; ci dichiariamo pienamente sottomessi al loro magistero, ma nei limiti canonici del legittimo esercizio del loro potere d’insegnare, in qualità di capi delle loro rispettive chiese.
In virtù della nostra posizione di sottrazione di obbedienza, e nell’attesa di una decisione infallibile e definitiva del magistero riguardante i nostri gravi sospetti di eresia degl’insegnamenti nuovi, ossia quelli che non possono appellarsi alla unanime Tradizione della Chiesa, seguendo l’infallibile criterio di questa Tradizione, noi distinguiamo al nostro meglio ciò che proviene dal magistero normale e cattolico dei vescovi dai quali dipendiamo per sottomettercisi, da ciò che proviene da questa autorità usurpata finalizzata alla “riforma della Chiesa”, che consideriamo come nulla e non avvenuta.
La quinta domanda :
«Quali sono gli statuti o i testi che regolano la vostra comunità?»
Malgrado tutti gli sforzi di mons. Pontier per ignorare sfacciatamente il nostro stato di religiosi, l’autore di questa domanda usa, al nostro riguardo, la parola “comunità”. E’ fin troppo evidente che, pur mancando di un riconoscimento giuridico, noi formiamo una comunità religiosa nel senso canonico del termine. Come ogni comunità religiosa, anche la nostra è effettivamente sottomessa a una Regola.
Il nostro padre fondatore, Georges de Nantes, redasse nel 1957 questa Regola, intitolandola “Regola provvisoria dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Villemaur”. Villemaur, perché fu in questa piccola parrocchia della sua diocesi che mons. Julien Le Couedic, allora vescovo di Troyes, ne autorizzò l’installazione, il 15 settembre 1958. Questa Regola provvisoria si trova certamente negli archivi della Congregazione per gl’Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, perché mons. Philippe, allora segretario della Congregazione dei Religiosi, l’approvò “ad experimentum” nel giugno 1963.
Dopo che sono passati 61 anni, il nostro Ordine si trova tuttora sotto questo regime “provvisorio”, il che non ci ha impedito di perseverare nella nostra vocazione di Piccoli Fratelli del Sacro Cuore, alla scuola di santa Margherita Maria Alacocque e del padre de Foucauld, sotto la guida del nostro fondatore padre de Nantes, loro fervente discepolo. E le vocazioni sono fiorite…
I nostri voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, restano tuttora “voti privati”, finché non saranno riconosciuti dalla legittima autorità dell’ordinario del luogo, in comunione col papa. Ma, nel frattempo, noi li pronunciamo sotto il manto della Beatissima e Immacolata Vergine Maria, la quale è la vera Comandante e Protettrice delle nostre comunità, da quando il nostro padre fondatore le ha “passato le consegne” durante la festa dell’Immacolata Concezione nell’anno di grazia 1997.
Da allora, allo stesso titolo della devozione al Sacro Cuore, le comunità dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle del Sacro Cuore praticano la devozione al Cuore Immacolato di Maria e la diffondono con zelo, al fine di corrispondere a un volere divino rivelato dalla Madonna di Fatima il 13 giugno 1917: «Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato». In particolare. i Fratelli e le Sorelle praticano e fanno conoscere la devozione riparatrice dei primi sabati del mese, che riunisce gli amici del nostro movimento nella Casa San Giuseppe. Almeno un rosario al giorno viene recitato in comunità per obbedire alla Madonna di Fatima.
Al fine di mantenere lo spirito della Chiesa e di «purificare i loro animi dal veleno della indipendenza e della critica, per cercare la verità e l’unità» (Regola Provvisoria, art. 22), i postulanti e i novizi cominciano a impregnarsi dell’intera dottrina e opera del nostro padre fondatore, che consiste unicamente nel difendere e illustrare quella dottrina cattolica ch’egli mai cessò di meditare e approfondire per rispondere agli errori propagati dal Concilio Vaticano II.
«Siete disposti a comunicare la vostra Regola e, nel caso, a lavorare alla sua evoluzione, se la legittima autorità ecclesiastica giudica opportuno di farlo?»
All’autore di questa domanda, rispondiamo: “lei è fuori tempo massimo!” Ne spieghiamo il motivo.
Proprio la nostra Regola religiosa, concepita e redatta nel 1957, prima della morte di Pio XII, costituisce una Regola di vita sotto ogni aspetto contraria alla “evoluzione” che la gerarchia ha creduto “opportuno” imporre all’insieme degli ordini religiosi, particolarmente sul capitolo dell’obbedienza nei riguardi dei loro fondatori. La Chiesa oggi fa la crudele esperienza di una “riforma” che, in nome della libertà, ha abolito la nozione stessa di maestro e di discepolo!
E’ appunto per fedeltà al nostro voto di obbedienza, che noi ci asteniamo dal comunicare la nostra Regola a un’autorità ecclesiastica che, per quanto possa essere legittima, ha evidentemente già preso la decisione di farla “evolvere”, prima ancora di averne preso conoscenza.
D’altronde, il nostro fondatore ha sempre considerato sia la nostra personale vocazione di Piccolo Fratello e di Piccola Sorella del Sacro Cuore, sia il riconoscimento canonico delle nostre comunità, come questioni secondarie, in rapporto alla lotta di Contro-Riforma che è il servizio più utile alla Chiesa, sebbene non sempre compreso dalla gerarchia.
Dato che mettiamo in dubbio l’ortodossia del Concilio Vaticano II e dei susseguenti insegnamenti dei sommi Pontefici e dell’intera gerarchia, la nostra sottrazione di obbedienza implica anche e necessariamente il mantenere lo statuto “provvisorio” e “ad experimentum” delle nostre comunità, in attesa del giudizio dottrinale richiesto con forza dal nostro fondatore e da noi stessi. Questa posizione umile e umiliante, rifiutata da tutti i movimenti tradizionalisti, è quella alla quale il nostro fondatore ha accettato per sé e per le sue comunità, giudicando con saggezza che è la sola conveniente al fine di restare nella Chiesa, certamente nell’ultimo posto, ma senza inserirci nella “riforma” avviata dal Concilio Vaticano II e da noi pubblicamente denunciata.
Secondo la regola posta da Nostro Signore Gesù Cristo stesso, nella Chiesa le opere devono essere giudicate innanzitutto dai loro frutti. Bisogna constatare che quelli prodotti dalle nostre comunità e dal nostro movimento sono certamente modesti, da un punto di vista naturale, ma eccellenti da un punto di vista soprannaturale. Sessantun anni dopo la fondazione del nostro Ordine nella diocesi di Troyes e la sua successiva installazione in molte altre diocesi, l’iniziativa di mons. Pontier, nonostante tutte le sue precauzioni terminologiche prese nella sua lettera, non è forse una indiretto riconoscimento di questi frutti?
In mancanza di ogni sostegno, di ogni protezione, di ogni cura pastorale che la gerarchia avrebbe potuto e dovuto rivolgerci, malgrado la nostra grave divergenza dottrinale, i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle del Sacro Cuore hanno perseverato, con la grazia del buon Dio, nella loro vocazione di religiosi missionari. Le loro comunità sono passate attraverso tutti gli ostacoli che non hanno mai smesso di levarsi, alcuni dei quali erano umanamente insuperabili. Per ciò che vale, essi hanno saputo preservare la loro unità, umanamente inesplicabile. Nessuno scandalo né disordine, nessuna irregolarità di qualunque natura è giunta a macchiare la loro reputazione e, con essa, quella della Chiesa che è la loro sola e unica famiglia. Negli anni 1990 si è tentato di considerarci come una setta. Paradossalmente, le inchieste sociali, fiscali e poliziesche non hanno avuto altro effetto, che quello di mettere in luce la perfetta regolarità della nostra vita comunitaria. Tutte le nostre case sono onorevolmente stimate, sotto tutti gli aspetti.
La chiamata a Dio del nostro padre fondatore, il 25 febbraio 2010, non ha indebolito in nulla la nostra unità, anzi ha dimostrato ch’essa è fondata sulla verità della fede cattolica ricevuta dalla Chiesa. Il nostro attaccamento, affetto e ammirazione per il nostro padre fondatore non si sono spenti con la sua persona. Ma il suo paterno cuore e la sua opera prodigiosa che ci ha lasciato in eredità, della quale noi e i nostri amici viviamo quotidianamente, in attesa di poterla affidare alla legittima autorità ecclesiastica, c’impegnano ad amare soprattutto il Buon Dio, Nostro Signore Gesù Cristo, la Beatissima Vergine e la Chiesa che vogliamo servire.
Le nostre comunità non fanno mai perdere la fede a coloro che vogliono seguirci nella nostra lotta di Contro-Riforma. Al contrario, esse fortificano il loro amore, la loro ammirazione verso la Chiesa, non solo quella di ieri, e li dissuadono dal disperare per questa riforma che li tenta di abbandonare ogni pratica religiosa o di ritirarsi in una comunità integrista. Per la regolarità della nostra vita religiosa, per la preghiera e l’insegnamento del nostro fondatore, le nostre comunità aiutano le persone a mantenere una fiducia soprannaturale nella Chiesa e nei suoi legittimi pastori. Malgrado le nostre divergenze di tipo dottrinale, in ogni occasione, noi partecipiamo ad ogni servizio liturgico o parrocchiale celebrato dai ministri del culto in comunione con il vescovo ordinario del luogo e chiediamo ai nostri amici di fare altrettanto, restando “fedeli” alle loro parrocchie e ai loro parroci.
Insomma, da molto tempo il nostro Ordine ha dimostrato la sua ecclesialità. Dunque, per quanto riguarda il suo riconoscimento canonico… rimaniamo così. Non si sono ancora compiute le condizioni affinché questo problema possa inserirsi nell’ordine del giorno.
Apocalisse
La Madonna di Fatima voleva che il “terzo segreto” fosse svelato nel 1960. Oggi noi possiamo capirne il perché: i suoi avvertimenti miravano a dissuadere il Santo Padre ad avviare una “riforma” della Chiesa che le menti più lucide del suo ambiente prevedevano avrebbe condotto la Chiesa alla rovina.
Ma Giovanni XXIII, dopo aver preso conoscenza di quel testo, se ne distolse dichiarando: «Non è cosa che riguarda il mio pontificato». Pertanto, egli non ascoltò il triplice appello dell’Angelo alla penitenza, come aveva previsto suor Lucia dichiarando nel 1957 al padre Fuentes:
«Non aspettiamoci che da Roma, per bocca del Santo Padre, arrivi un appello alla penitenza rivolto al mondo intero; non aspettiamoci ch’esso venga nemmeno dai nostri vescovi nelle loro diocesi, neanche dalle congregazioni religiose. No. Nostro Signore ha già usato questi mezzi molte volte, ma il mondo non ci ha fatto caso. Pertanto, ora bisogna che ognuno di noi cominci da solo la propria riforma spirituale; ognuno deve non solo salvare la propria anima, ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul proprio cammino».
Il successore di Giovanni XXIII, Paolo VI, fu veramente “il vescovo vestito di bianco”, quello che i veggenti intuivano fosse il Santo Padre, benché privo delle insegne della sua sovranità. Noi oggi comprendiamo che papa Paolo VI aveva deposto la tiara in segno di rinuncia alla sua triplice corona: magistero dottrinale infallibile, primato universale di governo, opera di santificazione del suo gregge mediante i sacramenti, corona abbandonata, o meglio profanata dalla “communicatio in sacris” dell’ecumenismo.
E’ l’Angelo che chiama per tre volte alla penitenza: “Penitenza, penitenza, penitenza!”
«E noi vedemmo in una luce immensa, che è Dio, qualcosa di simile all’immagine che uno specchio riflette quando una persona vi passa davanti: un vescovo vestito di bianco; noi abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre. Molti altri vescovi, preti, religiosi e religiose, scalavano una montagna scoscesa, in cima della quale stava una grande Croce di tronchi grezzi, come se fosse di ruvida quercia. Il Santo Padre, prima di giungervi, attraversò una grande città per metà in rovina e, mezzo tremolante, con passo vacillante, afflitto dal dolore e dalla pena, pregava per le anima dei morti che incontrava sul proprio cammino»
“Per metà in rovina”, solamente, perché egli rimane capo di questa Chiesa mezza rovinata, che attraversa “mezzo tremolante, con passo vacillante”, proprio lui, la “roccia” sulla quale la Chiesa è costruita!, “afflitto dal dolore e dalla pena”. Papa Francesco sembra destinato a compiere la tragica conclusione di questa dimissione del magistero, del governo, della santificazione dei quali pure rimane detentore.
«Nel Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede». «Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà».
La conclusione del grande segreto, del quale da cento anni viviamo tutte le tappe, rivela il paradiso di Maria, il regno della Santa Vergine, la terra, la casa, la famiglia di Fatima, «oasi di purezza, di freschezza, di gioia e di devozione mariana, che resta la vetrina del Paradiso nel mezzo dell’inferno e del purgatorio di questo mondo, affinché nessuno dei figli di Maria si smarrisca e si perda in questi anni difficili». Sappiamo che «Fatima è dovunque una qualche anima, famiglia, parrocchia, convento, nazione aderisce ai messaggi del Cielo che sono tutto un catechismo, e esaudisce le richieste della Madonna che sono, per la loro grazia, tutta una pratica della vera religione immutata. C’è grande spazio, in questa “nuova Gerusalemme discesa dal Cielo, presso Dio, città santa, perfetta, come una sposa ornata per il suo Sposo” nel giorno delle nozze».
Infatti, il Cuore Immacolato di Maria è un “rifugio per noi”, sempre pronto ad accogliere i “naufraghi di questo mondo”, ed è in questa “Città-Maria” che si prepara la definitiva vittoria del Cuore eucaristico di Gesù, innanzitutto nella Roma ricostruita, poi, mediante essa, nel mondo intero, compresa la terra dell’Islam: da Rabat a Giakarta. Nel momento stesso in cui il nostro padre de Nantes fondava la nostra comunità di monaci-missionari, egli m’incaricava di proporre una nuova traduzione del Corano, fatta alla luce di una intuizione che si è rivelata estremamente feconda: il Corano è l’opera di «un sapiente venuto dall’esterno».
Questo lavoro arduo ma appassionante fu reso possibile mediante l’applicazione ai testo coranico del metodo storico-critico, particolarmente del metodo esegetico che il nostro padre aveva imparato con gioia nel seminario per studiare le Sacre Scritture, e del quale ci comunicò l’entusiasmo. Così studiato, il Corano si rivelò il prodotto di una saggezza ebraico-cristiana che pretende di “portare a compimento”, dopo Mosè e Gesù, in quella perfetta religione che è l’Islam, l’unica alleanza dell’unico Dio con Abramo… e Ismaele!
Questa prodigiosa scoperta fece scrivere al nostro padre: «Ai sinceri credenti, sia dell’Islam che del Giudaismo, e più ancora a quelli della nostra santa religione cattolica, il costante riferimento dell’autore del Corano alla Toràh e al Vangelo, messo in luce da voi, costituisce non solo la chiave di un testo ormai reso intellegibile e coerente, ma anche e soprattutto un pressante invito a ritornare insieme all’unica e pura verità della Rivelazione divina, al fine di ritrovarci tutti uniti, se è possibile, nello stesso culto e nello stesso amore. (…) In questo modo, meglio che dai commentarî moderni, spesso modernisti, e generalmente ingombrati da un scoraggiante apparecchiatura scientifica, noi siamo ricondotti da lui [il coranista] al mistero di Gesù Cristo Figlio di Dio, Figlio di Maria, in questa pienezza di verità che san Giovanni contemplò e fu inspirato a rivelare al mondo”, dopo aver “preso con sé” la Vergine che Gesù, dall’alto della Croce, gli aveva dato eternamente per Madre!»
La prego di gradire, monsignore, la manifestazione dei miei religiosi e devoti sentimenti.
Fra’ Bruno di Gesù-Maria
Superiore generale dell’Ordine dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore
Il nostro ricorso a Roma!
Gesù! Maria! Giuseppe!
A sua eminenza
Il cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer S.J.
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
Palazzo del Sant’Offizio
00120 Città del Vaticano
Saint-Parres-lès-Vaudes, 13 giugno 2019
Seconda apparizione della Madonna a Fatima
Lettera raccomandata con ricevuta di ritorno
Eminenza reverendissima,
avendo l’onore di rivolgermi a sua grandezza e prima di esporle l’oggetto della mia richiesta, desidero far mie le parole rivolte dal padre de Nantes al cardinale Alfredo Ottaviani, suo predecessore al vertice di quella Congregazione per la Dottrina della Fede della quale lei è oggi il Prefetto per decisione del nostro Santo Padre papa Francesco:
«Mi piace innanzitutto di dichiarare la mia fede soprannaturale docile, certa e integra, in tutto ciò che la santa Chiesa apostolica e romana c’insegna come rivelato da Nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo Figlio di Dio e Dio egli stesso, non può ingannarsi né ingannare. Professo che il Magistero della Chiesa, nei suoi legittimi pastori, il nostro Santo Padre papa Paolo VI e il corpo dei vescovi uniti a lui, hanno autorità di fissare in termini dogmatici le verità alle quali noi dobbiamo credere e di stabilire in termini canonici le leggi alle quali dobbiamo sottomettere la nostra vita religiosa e la nostra condotta morale; e ciò non in modo totalitario o arbitrario, ma secondo ragioni e qualifiche diverse stabilite da questo stesso Magistero. E’ quindi con perfetta fiducia e serena sottomissione di mente e di cuore che oso rivolgermi a questa Sacra Congregazione, nella persona del suo pro-Prefetto. Per essere inclinato a una pronta e intera obbedienza, mi basta di sapere che la mia richiesta non è più rivolta a uomini dalle convinzioni incerte e dalle volontà fluttuanti, ma a un’Autorità divina nella sua fonte, legittima nella sua azione, totalmente dipendente da Gesù Cristo e gelosa d’invocarne l’Autorità suprema nel proteggere le proprie decisioni con tutte le garanzie del diritto».
In questo plico, Eminenza, lei troverà la lettera, datata 15 aprile 2019, che mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia, mi ha personalmente rivolto nella mia qualità di “responsabile del movimento della Contro-Riforma Cattolica”, come pure nella mia qualità di superiore generale dell’Ordine dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore, fondato dal padre Georges de Nantes, al quale sono succeduto. L’arcivescovo di Marsiglia mi ha poi trasmesso il questionario preparato dalla Congregazione da lei presieduta; io la informo che questa mattina ho consegnato all’attenzione di mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes, tre copie di un memoriale di risposta, uno dei quali da trasmettere a mons. Yves Pontier.
Ho l’onore di consegnarle due copie di questa memoria.
In risposta alla lettera che avevo rivolto il 29 settembre 2012 a mons. Marc Stenger, la Congregazione per la Dottrina della Fede c’interroga sulla nostra adesione al secondo Concilio del Vaticano e al Magistero del Sovrano Pontefice. Di conseguenza, Eminenza, mi sembra logico assicurarmi che lei sia personalmente destinatario delle nostre minuziose risposte alle cinque difficili domande che ci sono state rivolte. Le ho formulate a nome dei religiosi delle nostre comunità poiché, su quegli argomenti, noi abbiamo un cuore solo e un’anima sola.
Il padre de Nantes, nostro Fondatore, e noi, suoi discepoli, mettono in questione l’ortodossia delle novità dottrinali enunciate dal secondo Concilio del Vaticano e dai papi Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il nostro insormontabile dubbio solleva una questione fondamentale: quella della legittimità di questa temibile “riforma” della Chiesa intrapresa a marce forzate, eppure in nome della libertà, dai nostri legittimi Pastori a partire dall’anno 1965. Tale questione è dunque di un interesse che sorpassa ampiamente quelli delle persone della nostra comunità e anche quelli delle Chiese locali nelle quali sono situate le nostre case. Essa riguarda la Chiesa universale e quindi coinvolge la universale giurisdizione del Santo Padre e della Congregazione incaricata di assisterlo nella difesa della dottrina della fede.
Fin da quando erano ancora in discussione, il nostro Fondatore ha criticato le novità dottrinali contenute negli atti del Concilio e, fin dal momento della loro adozione, da buon figlio di fronte a suo padre, egli si è premurato di manifestare al Sommo Pontefice i propri penosi dubbi. Benché opponendosi pubblicamente e fermamente a questo insegnamento innovatore, fallibile e riformabile, egli si è appellato al Magistero straordinario affinché siano restituite alla Chiesa la sua unità e pace, in nome della verità della fede. Ma i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno lasciato senza risposte gli appelli del padre de Nantes, astenendosi dall’esercitare il loro Magistero sul quale noi oggi siamo interrogati.
La lascio prendere conoscenza del nostro memoriale; una volta consegnato, esso mi dà il diritto di ripetere a sua grandezza la mia richiesta, che era stata trasmessa da mons. Marc Stenger e che mirava affinché la Chiesa di Roma, Madre e Maestra di tutte le Chiese, intraprendesse finalmente con potenza e decisione, con tutte le garanzie della infallibilità, una opera dottrinale di discernimento tra gl’insegnamenti innovatori contenuti negli atti del secondo Concilio del Vaticano e denunciati come eretici, scismatici e scandalosi dal padre de Nantes, principalmente nei tre libri accusatori rivolti ai papi Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Vogliate gradire, Eminenza, la manifestazione dei miei devoti e rispettosi sentimenti.
Fra’ Bruno di Gesù-Maria
Superiore generale dell’ordine dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore